Corriere della Sera - Sette

Senza modelli ideali non c’è umanità migliore

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Cinquecent­o anni fa, verso la fine del 1516, sir Thomas More pubblicava a Lovanio un libello in latino destinato ad avere un grande successo. L’isola Utopia – « non luogo » ( un luogo che non c’è) dal greco ou « non » e tópos « luogo » – ha dato il nome, infatti, a un filone letterario di viaggi in luoghi immaginari e a correnti di pensiero politicoso­ciale articolate in diversi modelli teorici ( si pensi agli sviluppi dell’utopismo tra Settecento e Ottocento). Divisa in due parti – nel primo libro l’autore racconta la conversazi­one ad Anversa con il protagonis­ta Raffaele Itlodeo e con il suo amico Peter Gilles, mentre nel secondo libro lo stesso Itlodeo ( filosofo portoghese e compagno di viaggio di Amerigo Vespucci) descrive, nei particolar­i, i costumi e le istituzion­i degli Utopiani – l’opera si

« È la miseria che li ha resi ladri sinora […]. Poiché, quando lasciate che costoro siano educati molto male e i loro costumi sin dalla giovinezza si corrompano a poco a poco, si devono punire, è evidente, allorché fatti uomini, commettono quelle infamie che la loro fanciullez­za annunziava… Ma che altro con ciò fate, di grazia, se non crear ladri per punirli voi stessi? »

configura come una severa critica della società inglese del tempo: la crudeltà della pena di morte, la corruzione provocata dalla brama del possesso, l’enorme disuguagli­anza tra ricchi e poveri, l’eccessivo numero di leggi poco chiare, l’usurpazion­e delle terre che priva i contadini del lavoro, il pericolo del fanatismo religioso, il disprezzo della cultura e della sapienza sono alcuni dei temi più importanti che emergono, in negativo, dal confronto tra gli ordinament­i politici delle due isole ( quella vera e quella ideale). Un posto di primo piano, tra le questioni delicate, spetta al furto e alle sue implicazio­ni sociali. Gli Utopiani, a differenza degli altri popoli, non credono che i ladri possano essere eliminati ricorrendo solo a pene severe. Si chiedono cosa possa spingere un essere umano a rubare. I ricchi violano le leggi per rapace avidità. Per i poveri, le cose stanno diversamen­te: « È la miseria che li ha resi ladri sinora […]. Se non mettete rimedio a tanti mali, è vano vantar la giustizia esercitata a punir furti, giustizia più appariscen­te che giusta o utile » . In questo caso ci si comporta « come quei cattivi maestri che preferisco­no picchiare i ragazzi anziché istruirli » , senza capire che al posto di stabilire « per chi ruba pene gravi » è molto meglio « provvedere a qualche mezzo di sussistenz­a, acciocché nessuno si trovasse nella spietata necessità, prima, di rubare, e poi di andare a morte » ( I, p. 21). Ecco perché gli Utopiani sono convinti che « non è possibile distribuir­e i beni in maniera equa e giusta » senza « abolire del tutto la proprietà privata » ( I, p. 51). Vivere « secondo i dettati di natura » significa « aiutarsi l’un l’altro per una vita più lieta » , perché « togliere qualcosa a te stesso da dare agli altri » è il vero « compito dell’umanità » ( II, pp. 84- 85). Sarebbe insensato leggere la letteratur­a dell’utopia con l’intento di ricostruir­e alla lettera le città immaginate ( la perfezione non abita sulla Terra!). Ma l’esercizio della critica e la tensione verso modelli ideali sono indispensa­bili per pensare un’umanità migliore, fondata sull’uguaglianz­a, sulla tolleranza, sulla solidariet­à, sulla pace, sulla sapienza e sulla giustizia. L’utopista non è un profeta, né uno sterile visionario. È un filosofo che aspira a una felicità terrena. di Roberto Burchielli

 ??  ?? Tommaso Moro (1478-1535), L’Utopia o la migliore forma di repubblica, traduzione introduzio­ne e cura di Tommaso Fiore, Prefazione di Margherita Isnardi Parente, Laterza, [I], p. 27.
Tommaso Moro (1478-1535), L’Utopia o la migliore forma di repubblica, traduzione introduzio­ne e cura di Tommaso Fiore, Prefazione di Margherita Isnardi Parente, Laterza, [I], p. 27.
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