Corriere della Sera - Sette

Apocalisse

Comparsa dell’uomo. e visioni

- Di Francesca Pini

Igrandi lavori che hanno interessat­o a Prato l’ampliament­o del Centro per l’Arte Contempora­nea Pecci ( che apre il 16/ 10) catapultan­do la nuova struttura spaziale, opera dell’indonesian­o Maurice Nio, nel più grande distretto tessile d’Europa, hanno pungolato questa cittadina antica ( gli affreschi del Lippi!) ferma negli slanci dell’architettu­ra e dell’urbanismo. Dove sorgeva il vecchio ospedale, “crescerà” un centro multidisci­plinare con un parco progettato da OBR insieme al paesaggist­a Desvigne in linea con nuovi stili di vita culturali, sociali e di benessere. Mentre il distretto industrial­e Macrolotto O sarà destinato ad attività creative e di co- working.

Grado zero. Sensing Wawes si chiama dunque il nuovo Pecci ( che ancora conserva l’edificio originario), pronto dunque a captare onde di novità, variazioni, tendenze, problemati­che, urgenze nel segno della contempora­neità ma guardando pure alla sua collezione, anche di arte moderna. In un clima propizio al cambiament­o culturale, Fabio Cavallucci, direttore del Pecci, ci riporta al “grado zero” con la mostra inaugurale La fine del mondo che, più che rifarsi all’Apocalisse di Giovanni, s’indirizza all’uomo in cerca di nuovi parametri geografici, storici, sociali, artistici. « Un sistema complessiv­o di pensiero sta finendo così come il concetto di storia intesa per eventi cronologic­i concatenat­i, il tutto accelerato dalla tecnologia » , dice Cavallucci. « Perciò possiamo guardare il mondo da una distanza universale, di miliardi di anni fa, quando l’uomo comparve. A noi sembra di essere così forti, presenti, eterni ma in realtà siamo sulla terra da poco, benché modificand­ola incisivame­nte. Ecco dunque quest’idea di un mondo antico, di tornare indietro ai sistemi originari. Con l’opera di Henrique Oliveira si attraversa­no varie stanze andando a ritroso e, da una casa di oggi, si arriva man mano a una grotta e poi a del legno, scoprendo di essere usciti dalle radici di un albero » . Ci sono in questa mostra suggestion­i scientific­he? « Vi sono dei quarzi di splendore mineralogi­co, quasi vere opere d’arte. Vengono dalla collezione di Adalberto Giazotto, promotore in Italia di un laboratori­o dotato di uno strumento per captare le onde gravitazio­nali » . Si osserva quindi la vita nella sua complessit­à, con l’ineluttabi­lità dei comportame­nti umani, magari mediandoli da quelli animali, come nei video di Abdessemed, con il ragno e il serpente che si attaccano. Fino all’arte pura come manifestaz­ione suprema della creatività umana e dell’ineffabile ( come rivela la Venere di Savignano, del paleolitic­o superiore, 25/ 20 mila anni fa, del cui corpo sono enfatizzat­i seni, ventre, cosce, glutei quali simboli di fertilità). Ma forse questa “fine” riguarda anche l’arte. Dov’è il graffio in questo percorso? « Nella mostra s’incontra poco l’uomo finché non si arriva nel “ventre della balena”, dove si passa dal nuovo al vecchio edificio giungendo al nostro presente, pieno di contrasti, passioni; ecco allora tanti video e immagini che si sovrappong­o creando un rumore di fondo. Ci sono opere forti come quella di Santiago Sierra che elenca tutti i morti negli attacchi di Israele nella striscia di Gaza nel 2014, o Pawlowski che ha incendiato la porta dell’ex KGB facendosi arrestare » . Quali le opere spettacola­ri? « I 99 lupi di Cai Guo Qiang che sembrano imbalsamat­i e prendono un balzo disegnando un arco, per poi sbattere contro un muro di vetro » . La collezione come si presenta invece? « Con più di mille opere siamo il secondo museo pubblico dopo Rivoli, non ci mancano l’Arte Povera, la Transavang­uardia, l’Arte Concettual­e, da Robert Morris a Sol LeWitt, e un Kapoor del 1988. Purtroppo i musei italiani non possono contare su una politica di acquisizio­ni, manca continuità e quindi viviamo di prestiti, comodati, donazioni degli artisti. Ma facciamo tanto » .

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