Corriere della Sera - Sette

Enrico Mannucci

E marchigian­a in business, ampliando la produzione a pelle e a scarpe

- Di

Sono borse o scarpe, elaborate e preziose: combinazio­ni di metalli e pellami, accessori caldi, variopinti e vivaci. C’è un motivo che ricorre spesso, quasi una firma, nelle collezioni Rodo. È l’intreccio. A evocare un tempo lontano, una produzione raffinata ma povera, realizzata col frutto dei campi da mani contadine. Perché è obbligator­io raccontare una storia più lunga, parlando della Rodo. A questa intrecciat­a – la parola è del tutto appropriat­a – e soprattutt­o fondamenta­le per cogliere le radici ricostruen­do le vicende di una specialità italiana importante e famosa nel mondo almeno fino a mezzo secolo fa. È allora che questa seconda storia ha comincia- to a isterilirs­i, per restare poi nella memoria soltanto grazie a qualche celebre canzone. È la storia della paglia in Toscana. Questa, tecnicamen­te, è composta dagli steli del grano e dell’orzo, privi di valore nutritivo. Già nel XVI secolo, in Toscana, si lavoravano cappelli di paglia talmente raffinati da inorgoglir­e la corte granducale: erano il dono che Cosimo I de’ Medici mandava ai sovrani d’Europa. Ma è ai primi del Settecento che a Signa si comincia a coltivare il grano non a fini alimentari ma per produrre paglia fine e di qualità costante destinata alla creazione di copricapi. Il protagonis­ta della svolta si chiama Domenico Michelacci, detto “Il Bolognino”, arrivato in queste campagne da Galeata, in provincia di Forlì, allora parte della Romagna toscana. Nel 1714, sul colle della Bianca, vicino a San Miniato, inizia una sperimenta­zione per ottenere paglia dai culmi ( sono i fusti delle graminacee) ben dritti e sottili, lucenti, flessibili, tenaci e con l’ultimo internodo – lo spazio fra il nodo più alto e la spiga – molto lungo ( lo spiega un volumetto: La paglia e il cappello – tecniche e materiali di Roberto Lunardi e Maria Emirena Tozzi, Edizioni Polistampa). Da Signa, poi, la produzione di cappelli di paglia si allarga alla piana di Firenze, in Val di Pesa, nel Casentino e nel Valdarno inferiore. In seguito, particolar­i metodi di raccolta e di essiccamen­to assicurava­no alla paglia toscana un colore biondo dorato che la rendeva inimitabil­e e ricercata in tutta

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