Leggere è facoltativo
La provocazione di Rondoni: «Sta ai ragazzi dire sì o no»
Quando, in anni ormai remoti, feci l’esame di abilitazione per insegnare Italiano e Latino nei licei, all’orale, chi mi interrogava per Italiano, un professore dall’aria severa e austera, mi chiese, come prima domanda, di parlargli di Saverio Bettinelli ( per chi non lo sapesse, letterato del Settecento). Una domanda carogna, commentarono poi i miei compagni che erano tra il pubblico. Fortuna volle che il mio professore di letteratura italiana all’università, Mario Fubini ( il meglio del meglio, e come lo rimpiango), avesse scritto un libro, Dal Muratori al Baretti, che a suo tempo avevo portato all’esame, e che dedicava ampio spazio alle Lettere virgiliane del Bettinelli. Niente, invece, mi venne chiesto, quella mattina, degli autori maggiori, antichi o moderni. A me che dovevo andare a insegnare ai ragazzi del liceo, con un programma mastodontico su cui per forza bisognava tagliare i minori ( e di fatto poi tagliai). Un esempio all’opposto. Un anno, quando insegnavo al liceo da diversi anni, e avevo una classe finale particolarmente dotata, proposi la lettura di tutte le Operette morali del Leopardi. I ragazzi dapprima storsero il naso: gli sembrava un impegno troppo gravoso, poi si appassionarono. Furono incluse tutte nel programma d’esame, ma andò come doveva andare: la commissione li interrogò sulle solite quattro o cinque riportate dalle antologie, lasciando nei ragazzi il dubbio ( fondato) che delle altre sapessero poco o nulla. E sto parlando del Leopardi, non di un minore. Ecco dunque uno dei nodi af- frontati da Davide Rondoni nel suo prezioso libretto, Contro la letteratura ( Bompiani, pp. 104, 10 euro), di cui s’è già iniziato a parlare nello scorso numero. Perché la sua proposta, provocatoria ma non priva di un suo senso profondo – l’educazione alla letteratura e alla lettura dovrebbe avvenire in modo facoltativo, lasciando liberi i ragazzi di dire « no » , – ha le sue radici in una serie di motivi.
Oltre le mode. Il primo: spesso la « sentenza di morte è eseguita nelle aule e nei corridoi ufficialmente preposti alla conservazione e al tramando di quelle lancinanti e meravigliose bellezze » . Se, infatti, trovi un prof ( o una prof) inadeguato, o che si ostina con pedanteria a farti affrontare maggiori, minori e minimi, in un unico calderone, che cosa puoi fare? O, invece, se in classe si verifica « l’abbandono dei testi classici in favore di vacue larve di riscrittura a opera di autori di moda imposti dal mercato » ? Non succede? Succede, succede. E ancora, perché « l’attuale generale modo di insegnare la poesia e la letteratura » consiste nel « tentativo di fare dei ragazzi degli esperti, invece che degli amanti » ? Chiosa Rondoni: « Come se la scuola dovesse creare dei mini- critici letterari invece che lettori curiosi che vedendo una poesia non si voltino dall’altra parte e che magari da poesie e da racconti abbiano una speciale compagnia durante la vita » . « Gente » , aggiunge, « che non cacci fuori la poesia e la letteratura dall’esperienza della vita » . Al prossimo numero.
« L’attuale modo di insegnare la poesia e la letteratura non induce gli studenti ad amarla »