Vent’anni a spaccarsi la schiena e poi è troppo tardi, meglio prevenire
Non siamo campioni mondiali di risparmio, né di lotta agli sprechi. Nella nostra sanità non mancano i brutti esempi di quanto poco si punti a prevenire e ottimizzare. I due verbi, da noi raramente declinati, imperano invece nei Paesi che sanno fare un uso onesto e intelligente delle risorse, poche o molte che siano. Quando si leggono studi fatti all’estero, spesso colpisce il riferimento ai costi sociali: università e centri di ricerca affrontano un problema mirando, quando è possibile, alla prevenzione, per ridurre non soltanto dolori e cure evitabili ai cittadini, ma anche sprechi di soldi pubblici e privati ( che dovrebbero preoccupare tutti allo stesso modo). Uno dei principali nemici del denaro pubblico e privato è il mal di schiena, causa numero uno di assenze dal lavoro, fonte di sprechi incalcolabili per cure mal fatte o inutili. Nei Paesi cosiddetti civili e industrializzati, si è valutato che l’ 80 per cento delle persone prima o poi lamenta dolori, il più delle volte lombari: ecco perché molti studi vengono fatti sulle cause di problemi in questa zona della colonna che comprende cinque importanti vertebre disposte tra la fine della gabbia toracica e il fondo schiena. Un interessante studio, guidato dalla dottoressa Tea Lallukka del Finnish Institute of occupational health dell’università di Helsinki, ha preso in esame, nel 1986, ben 738 finlandesi di età compresa tra i 18 e i 24 anni. Poi li ha riesaminati dopo 20 anni; i risultati della ricerca sono stati pubblicati quest’estate su Occupational and environmental medicine.
Due pesi, due misure. La ricerca ha comportato un notevole impegno organizzativo ed economico che evidentemente viene reputato un buon investimento: lo scopo, infatti, era scoprire quanto un lavoro pesante fatto in giovane età può influire sul futuro mal di schiena, prendendo in considerazione i casi di dolori lombari localizzati o radianti ( che partono da un punto e interessano zone circostanti o anche distanti) della durata di almeno una settimana negli ultimi 12 mesi. Si è valutato che il dolore localizzato non era collegato in modo significativo con il lavoro fatto vent’anni prima; i casi di dolore radiante, invece, raddoppiavano negli uomini che avevano svolto mestieri pesanti rispetto a quelli che in gioventù avevano fatto lavori di scarso o nullo impegno fisico. Tra le donne, i dolori raddoppiavano in chi aveva svolto un lavoro d’impegno medio e quadruplicavano tra chi aveva fatto mestieri pesanti. Se in una certa professione i pesi, la ripetitività dei gesti e/ o le posizioni scomode sono inevitabili, bisogna compensare, conclude lo studio finlandese, con ginnastiche adeguate fuori dal lavoro. Dando indicazioni degli esercizi in sintonia tra medici del lavoro, medici curanti, fisioterapisti e trainer. È nell’interesse delle aziende ( meno assenze), di tutta la società ( meno spese inutili) e naturalmente dei lavoratori: meno dolori.