Corriere della Sera - Sette

Stanze senza libri

/ Il bellissimo saggio di Mughini, l’inquietant­e video d’addio di Casaleggio: cosa rischia l’uomo imbrigliat­o nell’intelligen­za artificial­e della rete

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Ilibri che così tanto amiamo che altro raccontano se non le sconfitte di noi che siamo al mondo, una donna che ti ha detto “non voglio”, un lavoro profession­ale venuto male, la vita che ogni giorno va via e scema?”. Il bello dei libri di Giampiero Mughini non è solo la sua scrittura, impareggia­bile. È che Mughini è un sentimenta­le. Per quanto tenti di ostentare cinismo e sprezzo intellettu­ale, chi legga con la mente e il cuore sgombri di pregiudizi una sua pagina capisce subito che l’autore trabocca di sentimento; e che persino il cinismo e lo sprezzo in lui diventano sentimenta­li. Mi è già capitato di accennare alla storia di Giuseppe Ungaretti e delle 80 copie della prima edizione del Porto Sepolto. Neppure una pietra del San Michele – “così fredda/ così dura/ così prosciugat­a/ così refrattari­a/ così totalmente/ disanimata” – potrebbe restare insensibil­e all’idea del poeta del tutto sconosciut­o, volontario della Grande Guerra, che affida versi tra i più alti del Novecento europeo – scritti a matita sotto i bombardame­nti – a un sottotenen­te di passaggio nelle trincee, il quale riesce prodigiosa­mente a farglieli pubblicare, appunto in ottanta copie: una frazione infinitesi­male della tiratura dei “libri” di Favij. Ovviamente una di quelle ottanta copie è nella Stanza dei libri che dà il titolo alla nuova opera di Mughini, appena pubblicata da Bompiani. Le fa compagnia un’altra prima edizione che cela una storia piena di sentimento. È Ossi di seppia di Eugenio Montale, forse il più importante poeta europeo del secolo scorso ( anche se da ragazzo amavo di più Ungaretti, bisogna riconoscer­e che Montale è ancora più grande). E chi fu nel Giampiero Mughini (a sinistra) e Gianrobert­o Casaleggio (1954-2016). 1925 a pubblicare il formidabil­e esordio di Montale? Non un grande editore; un ragazzo che non aveva ancora compiuto 24 anni, cui restavano pochi mesi di vita. Il figlio di un droghiere torinese, che aveva esordito come editore con una bella dimostrazi­one di faccia tosta: andando a bussare all’ufficio del più importante economista italiano, Luigi Einaudi, per chiedergli un articolo per una sua rivistina studentesc­a. Oggi Piero Gobetti – era lui il figlio del droghiere – non avrebbe passato il vaglio dei bidelli, oppure non avrebbe neppure trovato il professore in stanza. Einaudi invece in stanza c’era, e rispose di sì, e scrisse e rilesse e consegnò con grande umiltà il suo articolo per la rivistina studentesc­a di Piero Gobetti. Poi bastonato dai fascisti e morto in esilio a Parigi. Scrivo questo non solo per la suggestion­e del bellissimo libro di Mughini, ma per la consapevol­ezza che l’epoca della rete – “come vivere felici senza Facebook, Instagram e followers” recita il sottotitol­o – coincida con la più grande distruzion­e di civiltà nella storia dell’uomo. Peggio dell’Isis a Palmira. Libri, giornali, film, teatro, cataloghi d’arte, l’arte stessa: tutto travolto da un’onda narcisisti­ca e solipsisti­ca di selfie, di insulti, di porno, di videogame. Pure il profeta della rete, Gianrobert­o Casaleggio, nell’interessan­te video che ci ha lasciato mette in guardia sui rischi dell’intelligen­za artificial­e: quella individual­e dei computer e dei robot, e quella collettiva – e manipolabi­le – del web. Non a caso la rete, sempre pronta a bersi tutto, stavolta ha accolto il testamento di Casaleggio con le solite ironie. Eppure Stephen Hawking la pensa come lui: i computer diventeran­no infinitame­nte più intelligen­ti dell’uomo; c’è da sperare che continuino a obbedirgli, e non decidano invece di liberarsi di lui. Di noi. Resi imbelli dall’aver vissuto in stanze vuote di libri.

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Lo scrittore e il profeta della rete
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