Corriere della Sera - Sette

Le bad bank e la questione meridional­e

/ Il caso del fallimento nel 1996 del Banco di Napoli, che si collega alla crisi del Monte dei Paschi, insegna molte cose. E riabilita, almeno in questo frangente, il Sud

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Questa storia è emblematic­a della questione meridional­e, quasi un caso di scuola. È tornata alla ribalta grazie a un libro coraggioso e intelligen­te scritto da una giornalist­a, Mariarosar­ia Marchesano, e intitolato Miracolo bad bank. Comincia venti anni fa ma è attualissi­ma, parte dal fallimento del Banco di Napoli per arrivare alla crisi odierna del Monte dei Paschi. È una storia complicata, un vero e proprio “cold case” della finanza italiana, ma chiara nei suoi tratti essenziali. Che sono questi. Venti anni fa, nel dicembre del ’ 96, dalle ceneri del Banco di Napoli, tracollato dopo 500 anni di storia e venduto alla cordata Ina- Bnl, nasce la Sga, società per la gestione delle attività del Banco. In sostanza si tratta di una bad bank, termine allora sconosciut­o ma oggi tristement­e famoso a causa delle numerose crisi bancarie provocate dai crediti in sofferenza. La Sga rilevò per l’appunto crediti inesigibil­i o incagliati per un valore di 6,4 miliardi di euro, il buco del Banco. Il “miracolo” del titolo del libro di Marchesano consiste nel fatto che vent’anni dopo la società ha recuperato più del 90% di quei crediti e ha accumulato finora un tesoretto di circa 500 milioni ( si calcola che altri 200 arriverann­o dai recuperi residui). Il Tesoro non si è lasciato scappare l’occasione, ora che di aiuti alle banche in difficoltà c’è così tanto bisogno, e ha rilevato la Sga trasforman­dola col suo gruzzolo nella colonna portante del fondo Atlante2, che anche con quei 500 milioni dovrebbe procedere al salvataggi­o del Monte dei Paschi. La lezione più grande di questa vicenda è che anche stavolta capitali prodotti al Sud sono finiti a risolvere problemi di altre aree del Paese. Come vedete le lezioni di questa storia sono innumerevo­li. La prima è che forse il Banco di Napoli non era poi così rovinato quando è stato liquidato, privando l’intero Mezzogiorn­o di una banca di rilievo nazionale, se quei crediti potevano essere recuperati. La seconda è che a Napoli si sanno anche fare le cose sul serio. La terza è che le sofferenze possono essere almeno in parte recuperate, e che quindi acquistarl­e può rivelarsi un affare. Tenendo presente che a Sga furono vendute al 70% per cento del loro valore nominale, mentre solo pochi mesi fa quelle delle quattro banche Etruria, Banca Marche, Carife e Cari Chieti, sono state vendute a ben più convenient­e 17,6%, e il prezzo delle sofferenze di Montepasch­i è stato fissato al 33%.

RISARCIMEN­TO SIMBOLICO. Infine la lezione più grande di questa vicenda è che anche stavolta capitali prodotti al Sud, perché questo sono i crediti recuperati da famiglie e imprese, sono finiti a risolvere problemi di altre aree del Paese. Non volendo accrescere le schiere dei tanti demagoghi che tentano di sfruttare i guai del Mezzogiorn­o, non diremo che questa è una rapina e che quei soldi vanno restituiti ( a chi poi?). Però pensiamo come Nicola Saldutti, che l’ha scritto sul Corriere del Mezzogiorn­o, che Napoli ha diritto a un indennizzo. Se non per l’ieri ( quando fu azzerato, il patrimonio della Fondazione azionista del Banco era di 1.800 miliardi di vecchie lire, e il Banco fu venduto a un prezzo molto più basso di quanto offerto da un altro concorrent­e), almeno per l’oggi. È il decreto legge del ’ 96 del resto a stabilire che all’atto della liquidazio­ne della Sga si sarebbe fatto un bilancio delle spese sostenute dallo Stato e degli utili procurati dall’attività della società, per distribuir­e la differenza pro quota agli azionisti. Una forma di risarcimen­to, anche solo simbolica, è dunque dovuta. Servirebbe alla Fondazione Banco Napoli, che svolge un’attività cruciale nel campo del privato sociale. E servirebbe anche a convincere noi meridional­i che, almeno in questo caso, lo Stato non ci considera figli di un Dio minore. Stupisce che paladini del Mezzogiorn­o di solito così attivi come il sindaco di Napoli de Magistris e il governator­e della Campania De Luca non si siano ancora fatti vivi in questa battaglia.

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La storia si ripete

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