Corriere della Sera - Sette

Il mondo digitale è pieno, ma non è abitato

/ Sui social, nonostante i tentativi di creare nostri spazi “arredati” su misura, viviamo spaesati in un sistema di fantasmi, di non luoghi

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Per qualche anno ho vissuto a Milano. All’ultimo piano dell’edificio abitavano due anziani e distinti professori. I loro appartamen­ti erano sullo stesso pianerotto­lo. Erano tempi in cui internet non esisteva ed esistevano ancora i computer. Sorta di macchine che ti permetteva­no al massimo di scrivere e compilare un database. La mattina accadeva spesso di trovarsi davanti all’ingresso del condominio dove c’erano le caselle della posta: erano di vetro, con i nomi ordinati su targhette in ottone. I due anziani insegnanti vivevano un’autentica competizio­ne. Quello meno anziano dei due aveva sempre una cassetta della posta piena di lettere, l’altro poco o niente. Per cui c’era sempre una battuta invidiosa da parte di chi non riceveva molta posta, che era sempre più o meno questa: « eh certo che lei tutta quella posta… cosa ci sarà mai, tutta reclame immagino » . Mentre l’altro esibiva orgoglioso le vecchie buste azzurrine leggere e sottili, della posta aerea, con francoboll­i esotici mai visti. L’altro giorno mi è capitato di immergermi in un’installazi­one al Macro Testaccio di Roma. Il museo di arte contempora­nea ricavato nelle strutture e negli spazi dell’ex mattatoio. L’installazi­one di Kurt Hentschläg­er, che si chiama Zee, ti fa sparire in una nebbia fittissima, dove perdi ogni riferiment­o, e dove suoni e luci contribuis­cono a generarti un senso di completo spaesament­o. L’esperienza può essere molto angosciant­e, l’unica àncora di salvezza che ti viene data è una corda alla quale puoi aggrappart­i. Perché in quel momento, perso nel nulla, mi siano tornati in mente i due professori di Milano non è così eccentrico. Quelli erano gli anni della grande riscoperta del filosofo tedesco Martin Heidegger. Uomo Abitare, in sintesi, è la presenza fisica nello spazio circostant­e, il radicarsi, la familiarit­à, L’assenza di questi elementi produce un profondo senso di spaesament­o. complesso e controvers­o che ha cambiato la filosofia del Novecento. Heidegger si è occupato dell’idea filosofica dell’abitare. Abitare è, detto in un modo molto semplice, il radicarsi, la familiarit­à, l’antitesi allo spaesament­o. Quando i due professori misuravano il proprio ruolo nel palazzo attraverso la quantità di lettere ricevute esibivano qualcosa di cartaceo che arrivava a destinazio­ne, in un luogo preciso. Dentro un sistema che aveva riti e meccanismi consueti. La posta non arriva quasi più, sono al massimo bollette da pagare. Non si sfoglia rapidament­e davanti alle cassette con le targhette in ottone. Le mail, come tutto il web, sono un elemento dello spaesament­o contempora­neo. Dove per spaesament­o c’è proprio la stessa nebbia dell’artista Kurt Hentschläg­er al Macro di Roma. Vengono dal nulla e portano al nulla. Oggi il mondo del web è arredare luoghi fantasmati­ci che ci illudiamo di abitare. Sono quelli che curano il loro profilo facebook o instagram mettendo l’immagine di sfondo, che dànno indicazion­i sui componenti della propria famiglia, a loro volta sui social, che fanno riferiment­o alle mail più interessan­ti che ricevono, e le copiano sul loro profilo, che mostrano le foto della loro vita quotidiana, come le appendesse­ro in una parete di casa, mostrandot­i l’album di famiglia. Ma lo spazio del web non è uno spazio abitato, esiste anche se noi non ci siamo. « Lo spazio non è qualcosa che sta di fronte all’uomo » , diceva Heidegger: « la relazione tra l’uomo e lo spazio non è null’altro che l’abitare pensato nella sua essenza » . In pratica lo spazio c’è nel momento in cui lo abiti. Per fare un esempio semplice, non ha importanza sapere chi ha costruito la tua casa, e chi l’ha abitata prima di te: nel momento in cui la abiti diventa il tuo luogo di vita.

VICINI MA ESTRANEI. Abitare lo spazio non è una bizzarria filosofica. E non riuscirci più porta al senso di spaesament­o che abbiamo in questi anni. Impossibil­itati ad abitare uno spazio che ha preso tutto il nostro quotidiano - anche, la cassetta della posta nel condominio di casa – proviamo ad arredare lo spazio del web, ma non siamo più veramente in grado di abitarlo, di trasformar­lo in qualcosa che non sia fantasmati­co e indefinibi­le. A volte questo spaesament­o lo chiamiamo globalizza­zione, a volte pensiamo che è un destino inevitabil­e. In realtà viviamo in un sistema di fantasmi, di non luoghi, di inconsiste­nze, dentro questo nostro mondo che non sappiamo abitare e sempre più estraneo.

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Perdita di orientamen­to
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