L’angelo vellutato
/ Un’opera dalle forme morbide che traduce in atmosfera rassicurante un tema severo della Controriforma
Credo di essere diventato l’ossessione di Filippo Maria Ferro, se per la quarta volta, o forse la quinta, in questa rubrica propongo un’opera, e non di produzione corrente, del pittore, anzi dei pittori cui egli ha dedicato appassionati e approfonditi studi: Carlo Francesco e Giuseppe Nuvolone. Evidentemente i due pittori lombardi sono stati particolarmente e felicemente fertili, come la loro stessa pittura trasmette. In effetti, anche a guardare questa nuova e affettuosa prova, la prima sensazione è di una stesura larga, generosa, compiaciuta.
VENA INESAURIBILE. Dolcezza e soavità della vita comunicano quelle forme morbide, senza disegno, generate per emanazione spontanea, che non mostrano sforzo. Carlo Francesco, prima, Giuseppe, poi, sembrano esprimere una pittura infinita, in una vena inesauribile, come la corrente di un fiume. Per loro il lavoro del pittore è un’opera di tessitura, come elaborare un arazzo, come cucire un tappeto, a ciclo continuo. Anche questo nuovo e vellutato Tobiolo e l’angelo, se non lo si voglia considerare, in assenza del pesce ( ma probabilmente perché mutilato della parte inferiore), un semplice angelo custode con il fanciullo devoto che lo prega con le mani giunte. Soave il volto dell’angelo, screziata di lumeggiature la bella veste viola, l’opera traduce in atmosfera rassicurante un tema severo della Controriforma. Nell’incontro frequente con opere di Nuvolone, si possono tentare due conclusioni. La prima, dopo il 1650, la simbiosi dei due artisti, che tendono a fondersi e a confondersi, in una pittura di progrediente morbidezza e impasti cromatici. Soltanto con la morte di Carlo Francesco, Giuseppe mostra, come osserva Francesco Frangi, « accentuazioni espressive più esplicite, che contribuiscono a incrinare l’armoniosa regolarità dei volti. Tali prerogative si colgono bene anche nelle prove di Giuseppe di poco più tarde, come la grande Madonna del Latte e devoti, già presso l’antiquario Luzzetti a Firenze ( 1661), la bella tela quasi gemella con Ruth e Boaz, di collezione privata ( 1662): due dipinti utili anche a mettere in risalto l’efficacia narrativa della pittura di Giuseppe e la sua abilità nel padroneggiare le rappresentazioni di grande respiro. È anche in virtù di queste qualità che l’artista riscosse, a partire da quegli anni, un crescente successo, certo favorito dalla scomparsa di Carlo Francesco nel 1661, che lo trasformò in principale divulgatore della fortunata maniera “nuvoloniana”. Nel nuovo dipinto, che non va oltre il 1650, sembra prevalere ancora Carlo Francesco, in una propensione più lirica e di esecuzione veloce e impastata, che ricorda alcuni lavori particolarmente fortunati, come la Santa Martire che io vidi presso Frederick Mont, a New York, ora al Metropolitan Museum, o la Sacra Famiglia della collezione Molinari Pradelli.
PITTURA CAREZZATA. Per questi vale la seconda conclusione: una predilezione di Nuvolone, più di ogni altro, per Correggio e la sua pittura carezzata, insinuante, emotiva. Con questa continuità, la pittura di Nuvolone pare inesauribile.