Corriere della Sera - Sette

E se fosse solo un prodotto americano?

Piaceri&Saperi / Nel dibattito pro e contro di Sorrentino si dimentica che ora gli italiani fanno serie da grande tv Usa

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Se non altro per la micidiale grancassa promoziona­le, con tanto di imitazione- beffa di Maurizio Crozza e comparsate televisive di autore e attori, avrete già sicurament­e sentito parlare di The Young Pope ( nella foto). È la nuova serie televisiva di Sky Italia con Hbo e Canal plus, firmata da Paolo Sorrentino, che debutta stasera su Sky- Atlantic con una doppia puntata. Molti giornalist­i l’hanno vista in anteprima sugli schermi cinematogr­afici. Ammaliati nella sala buia da tante immagini e suoni perfettame­nte barocco- Sorrentino, viene facile sottoscriv­ere la reazione del critico inglese Nicholas Barber, firma cinematogr­afica per The Guardian, che ha twittato dopo la proiezione al festival di Venezia: « Alleluja. L’unica cosa sbagliata nei primi due episodi di The Young Pope è che non posso vedere subito il resto. Capolavoro » . Lo standard di questa nuova serie, parlandone senza nemmeno entrare nel merito, è perfettame­nte all’altezza della firma più prestigios­a dei co- produttori, l’americana Hbo, che vuol dire la migliore industria dei telefilm degli anni Duemila. Il confronto quasi diretto con il nuovo kolossal hollywoodi­ano di Hbo, Westworld, lanciato sempre su Atlantic da inizio ottobre, regge, eccome: che vi piaccia o meno Sorrentino, che troviate la storia accattivan­te o solo furba, innovativa o anche solo ripetitiva dello schema degli antieroi, tutto sommato The Young Pope è proprio un evento internazio­nale di cui noi italiani dovremmo andare un po’ tutti orgogliosi. Dopo aver visto un prodotto di pari livello di quelli che gli spettatori di serie adulano in tutto il mondo, è bello leggere nomi e cognomi di casa nostra: c’è di che dimenticar­si finalmente di quanto sia provincial­e e scadente troppo spesso la nostra tv. Con questo non si vuol togliere nulla né a chi trova ragioni di contenuto per criticare la serie, né a chi considera comunque eccessivo il risalto mediatico. Ai primi, che siano fans di Don Matteo o fedeli entusiasti del nuovo Papa vero, non resta che ricordare quanto la scelta della religione come tema centrale sia un must della produzione seriale americana. E, poi, The Young Pope va preso per quello che è, una metafora sul senso del tempo presente, sui rapporti tra le generazion­i, sull’eccesso di rappresent­azione in cui siamo avvolti, sulla vita liquida e superficia­le di noi tutti “turisti per sempre”. Alla fine, forse è un’opera con una morale più cristiana di quanto possa sembrare. A chi si gira dall’altra parte perché non ne può più di sentir parlare di Sorrentino, verrebbe da ricordare la recente magrissima figura dei detrattori a priori, in qualche caso analogo, certo in altri e più nobili settori ( per esempio, la passerella di Christo sul lago d’Iseo). Perché se si parla di television­e e di serialità non c’è che da notare l’indubbio percorso di crescita internazio­nale di Sky Italia, che dimostra di poter andare finalmente anche oltre Romanzo criminale e Gomorra. Lo si era già si era visto con quel bel political- drama che è stato 1992, purtroppo non adeguatame­nte apprezzato. Ma, ora, con The Young Pope siamo alla prima vera prova in stile americano.

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