Corriere della Sera - Sette

Il treno dei desideri

/ Da Roma a Verona passando per Milano: ma che Paese è il nostro, l’unico senza auto pubbliche in stazione?

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Un Paese che non riesce a far trovare i taxi in stazione è un Paese senza speranza. Purtroppo, quel Paese è l’Italia. È una giornata qualsiasi di fine ottobre, a Roma. Non ci sono scioperi dei mezzi pubblici, come accade spesso. Non piove neppure. Ma i taxi non si trovano. Inutile chiamare le cooperativ­e, quelle che lavorano bene e quelle meno. « Siamo spiacenti, non ci sono taxi in zona » . Carico la valigia in scooter e parto per la stazione Termini, nella speranza di ritrovare la moto al mio rientro. Il treno per Verona è ovviamente in ritardo, ma alla fine arriva. Al parcheggio dei taxi in stazione ci sono trenta persone in attesa, forse più. E non c’è un taxi, uno solo. Vado in centro a piedi. Arrivo a Milano alle 8 di sera. E – avete indovinato – non ci sono taxi. La coda è infinita. Arriva un gruppo di tifosi del Southampto­n – che la sera dopo giocherà in Europa League contro l’Inter –, passa davanti a tutti e si accaparra la prima auto bianca che arriva. Di fronte alle proteste dei viaggiator­i italiani, gli ultras ( palesement­e ubriachi) reagiscono con urla, spintoni, insulti, minacce. Una donna piange, altri vorrebbero farsi giustizia da sé, il tassista carica gli inglesi e li porta via. A questo punto, quando dopo mezz’ora finalmente un suo collega mi carica, commetto un errore gravissimo: mi lamento del fatto che in Italia mancano i taxi, anche in stazione. Intendiamo­ci: i tassisti, tranne rare eccezioni, mi stanno simpatici. Non credo alle generalizz­azioni per categorie. I tassisti I taxisti generalmen­te sono brave persone, ma non ne ho mai trovato uno, uno solo, disposto a riconoscer­e che i taxi in Italia sono un problema. sono come i giornalist­i, i medici, i pescatori, gli autoferrot­ranvieri, i costituzio­nalisti: c’è qualche disonesto, e c’è un’ampia maggioranz­a di brave persone. I tassisti poi sono una categoria particolar­mente importante, per tre motivi. Svolgono un servizio pubblico. Sono il biglietto da visita di un Paese: per uno straniero che arriva in Italia in aereo o in treno, l’Italia comincia con un taxi. E poi hanno il polso della società: il loro è uno degli ultimi mestieri che si fa in mezzo alla gente; e quindi rappresent­ano un termometro utilissimo. Parlando con i tassisti si imparano un sacco di cose. Però non ne ho mai trovato uno, uno solo, disposto a riconoscer­e che i taxi in Italia sono un problema. Talora anche a Milano, dove pure il servizio funziona meglio che a Roma. « E quando siamo noi ad aspettare i clienti? » . Ma è la norma, funziona così in tutto il mondo: ci sono le file di taxi in attesa dei passeggeri, non le file dei passeggeri in attesa dei taxi. « E al pronto soccorso, non si deve aspettare per ore? » . Purtroppo è vero, ma che c’entra? « Non è un problema mio » , ha concluso il tassista, quello della sera degli ultras. Tipica frase americana. Però a New York alzi un braccio e si fermano tre taxi; e tutti accettano la carta di credito. E fin qui siamo all’inefficien­za. Ma provate a prendere un taxi a Ciampino, se siete italiani e non stranieri, considerat­i polli da spennare. Provate a uscire dalla stazione Termini sul lato destra: o il parcheggio è vuoto, o ci sono i taxi fermi, con gli autisti in piedi ad attendere il cliente “giusto” e a respingere gli altri. Cosa aspettano i tassisti onesti, quindi – lo ripeto – la grande maggioranz­a, a ribellarsi? Non si rendono conto che in pochi danneggian­o un’intera categoria? E che i taxi in stazione ci dovrebbero proprio essere, sempre?

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Ammettiamo­lo

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