Corriere della Sera - Sette

Il calcio? Un mondo a parte

/ Vive di regole sue, radicalmen­te diverse da quelle che valgono per tutti noi cittadini qualsiasi. Vedi i casi di Mauro Icardi e di Ilary Blasi

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Un mondo a parte”, così si chiamava un bellissimo film del 1988 sull’apartheid in Sudafrica negli anni Sessanta. Senza voler fare paragoni, perché si tratta di vicende imparagona­bili, l’una tragica, l’altra al massimo farsesca, un mondo a parte è anche quello del calcio. Vive di regole sue, radicalmen­te diverse da quelle che valgono per tutti noi cittadini qualsiasi, esseri umani non “tesserati”. Pensateci: a nessun autore sarebbe possibile intimare, da parte dell’editore o di chicchessi­a, di ritirare la prima edizione del suo libro, tagliarne una parte, e riconsegna­rlo alle stampe censurato. Lo farà invece Mauro Icardi che - lo riconosco - è un autore di libri molto sui generis, e alquanto improbabil­e, soprattutt­o consideran­do che ha dato alle stampe un’autobiogra­fia a 23 anni, e anche alquanto sventato, se nel libro si spinge a minacciare rappresagl­ie fisiche nei confronti dei suoi critici. Ma, in ogni caso, Icardi sarà costretto a censurarsi, e dovrà farlo sulla base di un accordo sottoscrit­to con il suo datore di lavoro, l’Inter, su richiesta di un piccolo gruppo di clienti della società, gli ultrà della Curva Nord. Fosse successo in qualsiasi altro campo della vita nazionale, la vicenda sarebbe finita al Tar, al Consiglio di Stato, con interrogaz­ioni parlamenta­ri a risposta scritta, con l’apertura di un fascicolo in Procura, un comunicato del Codacons e I calciatori saranno anche straricchi e ben pagati, ma sono gli unici residenti in Italia privi di alcuni diritti costituzio­nali, tra cui quello di parola. una dichiarazi­one della Cgil Spettacolo. Del resto perfino i più perplessi su questa procedura hanno suggerito un rimedio ancora più “a parte”. Sarebbe bastato - hanno detto - che l’Inter avesse letto in anticipo e censurato in anticipo il libro, come si fa in ogni altra società calcistica. Non è forse vero che nessun “tesserato” può rilasciare neanche un’intervista se prima non autorizzat­o dalla “società”? È così. Saranno anche straricchi e ben pagati, questi calciatori, ma sono gli unici residenti in Italia privi di alcuni diritti costituzio­nali, tra cui quello di parola. Gli unici che rischiano una multa perfino se vanno sui social. Non finisce qui. Come si sa i “tesserati” accettano al momento del tesseramen­to di sottoporsi a una giustizia diversa e “a parte”, la giustizia sportiva. Vivono dunque in un regime speciale. Non possono dunque rivolgersi alla giustizia ordinaria, neanche se qualcuno gli dà un pugno in campo, perché se lo facessero spezzerebb­ero il cerchio magico di un mondo in cui i panni si lavano in casa, anzi nello spogliatoi­o, e perfino l’habeas corpus può essere sospeso dal sequestro di persona di un ritiro punitivo.

IN DIFESA DEL MARITO. Anche le donne non “tesserate”, ma fidanzate e mogli di “tesserati”, vedono ridotti i loro diritti, faticosame­nte conquistat­i con decenni di battaglie femminili, nel mondo a parte del calcio. Guardate quello che è successo a Ilary Blasi, colpevole secondo molti di aver osato difendere il marito Francesco nella polemica col mister Spalletti. « Così rovina il clima della spogliatoi­o, le mogli stiano zitte » , le hanno rinfacciat­o. Che equivale a dire che Hillary Clinton non avrebbe dovuto schierarsi al fianco di Bill o che Melania Trump non avrebbe dovuto permetters­i di giurare sulle qualità del marito nei rapporti. Ciò che ci sembra normale nel mondo normale, non lo è nel “mondo a parte” del calcio. Che poi è la ragione per cui mi piace il calcio, ma non mi piacciono i mondi a parte, nemmeno quello del calcio.

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