Corriere della Sera - Sette

La questione mediorient­ale dopo l’Isis

/ Sconfigger­e militarmen­te lo Stato islamico è necessario, ma occorre pensare a cosa mettere al suo posto. Al momento, le idee non decollano

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Rimettere la maionese nel tubetto. È quanto cerca di fare la comunità internazio­nale mentre si sforza disperatam­ente di pacificare il Medio Oriente. Si consideri il caso della Siria. Su che cosa si sono sempre scontrati russi e americani? Su Assad. Con i russi che lo vogliono al potere e gli americani no. Ma forse si tratta di una querelle senza senso. Perché gli uni e gli altri presuppong­ono che alla fine della guerra esisterà ancora una entità chiamata “Siria”. Ma la Siria, come l’Iraq, come lo Yemen, come la Libia, erano Stati artificial­i creati dalle potenze occidental­i, Stati che si reggevano sul dominio di un gruppo ( gli alawiti in Siria, i sunniti in Iraq, eccetera) sugli altri gruppi. Gli Stati artificial­i sono esplosi. Ma la comunità internazio­nale è restia a prenderne atto. Quando ci riuscirà dovrà convergere su un piano che tenti di ridisegnar­e i confini di gran parte del Medio Oriente. Sconfigger­e militarmen­te lo Stato islamico è necessario ma occorre pensare a cosa mettere al suo posto. Al momento, l’idea di un nuovo piano non decolla. Sia perché i combattent­i sono ancora impegnati a contenders­i i territori palmo a palmo. Sia perché i governi faticano a prendere atto che la vecchia carta geopolitic­a, con i vecchi Stati, è ormai superata. Si spera nel prossimo presidente degli Stati Uniti. L’Europa, probabilme­nte, continuerà a essere inerte. Sono molte le cause. Una di esse ha a che fare con la presenza di diffusi sentimenti anti yankee. Quei sentimenti spiegano le simpatie di una parte rilevante dell’opinione pubblica per Putin: neppure i crimini di guerra commessi dai russi al fianco di Assad le hanno intaccate. Spiegano anche perché si sia affermata in Europa una vulgata secondo la quale tutti i mali del Medio Oriente sarebbero da attribuire alla invasione americana dell’Iraq del 2003. Ci fosse ancora Saddam Hussein al potere, secondo i proponenti di questa tesi, le cose andrebbero molto meglio. Come se non fosse mai esistita Al Quaeda. E come se la guerra civile siriana non fosse stata innescata dai sommovimen­ti che nel 2011 sconvolser­o molti Paesi arabi. Dopo l’invasione gli americani commisero degli errori ma ciò non basta a farne i principali responsabi­li dell’attuale disastro. Ne siano consapevol­i o no, coloro che propagano queste tesi disarmano psicologic­amente le opinioni pubbliche europee e non aiutano a trovare soluzioni. Poiché solo gli Stati Uniti dispongono delle risorse, materiali e morali, per innescare, se lo vogliono, un processo di pace, affermare che essi portino la maggiore responsabi­lità per i guai del Medio Oriente, significa togliere a priori credibilit­à – di fronte a una opinione pubblica che comunque conta – a una loro eventuale azione tesa a spegnere l’incendio. Non è un aspetto secondario il fatto che se quell’azione americana un giorno ci sarà, il fin troppo popolare Putin, dopo avere spadronegg­iato a lungo, si vedrà brutalment­e confinato, anche in Medio Oriente, nel ruolo del comprimari­o.

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