Corriere della Sera - Sette

A volte tornano (le insalate nel bidè)

/ Una storia che appassionò lettrici e lettori di Donna Letizia negli anni Settanta riappare adesso nei bar del pieno centro di Milano

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Una donna, invitata a cena da amici, scopre che hanno messo a mollo l’insalata nel bidè. Che fare? Deve avvisare il marito dell’increscios­a vicenda? Questa esile storia, pubblicata decenni fa da Donna Letizia nella sua rubrica su Grazia, è diventata uno dei tormentoni più gettonati di questa pagina. Ogni lettore ne propone, alla Rashomon ( Akira Kurosawa mi perdoni), una diversa versione. E nessuno ricorda cosa rispose Donna Letizia alla lettrice protagonis­ta della storia.

SEGRETI MASCHILI. Ecco la versione di Armando Luches ( erano gli uomini i più accaniti lettori dei femminili di una volta, forse era questo il loro segreto). « Fu il marito ad andare in bagno e a notare il fattaccio. A tavola, quando fu servito il contorno, il marito fece gli occhiacci alla moglie per non farle mangiare l’insalata. La padrona di casa, che se ne accorse, si giustificò dicendo che loro non avevano mai usato il bidè per lo scopo usuale, quindi non vedeva alcun problema. La lettera mi è rimasta impressa. Dopo quarant’anni o più la ricordo bene. La risposta di Donna Letizia? Credo, ma non ci giurerei, che invitasse la scrivente a non frequentar­e più quella casa » . E IRENE BRIN? Per la lettrice Maria Grazia Predolin fu la moglie a scoprire l’arcano. « Giunta l’insalata in tavola nel piatto del marito, che non capiva i cenni della moglie per dissuaderl­o a mangiarla, la signora a voce alta gli ha detto di non toccarla perché era stata lavata nel bidè. La padrona di casa serafica aveva risposto che lei il bidè lo usava solo per lavare l’insalata. Per restare in tema, mio marito uscito dalla toiletta di un bar del centro di Milano trovò nel lavandino l’insalata messa a lavare dal cameriere addetto ai panini per il lunch » . Donna Letizia, aiuto! Chiude Franco Fiorucci che introduce anche il tema successivo. « Splendida la rubrica dedicata all’insalata nel bidè. Però, parlando di rubriche mondane- bon tonposta del cuore, credo che manchi una pur velocissim­a citazione di Irene Brin, maestra del genere e penna formidabil­e. P. S. Grazie per l’intervista a Paolo Conte » . Su Irene Brin chiederò lumi al prof Franco Contorbia, come tante altre volte. Via ai festeggiam­enti per il Maestro. Scrive Massimo Rago: « Compliment­i per la bellissima intervista a Conte: pochi sarebbero all’altezza di dialogare con quel Mito... e lei lo fu?!?! » . Contiani si nasce e io modestamen­te lo nacqui.

ALFABETO. Scrive Fabio Crociati che pubblico con un’avvertenza: un lipogramma è un componimen­to letterario dove si evitano tutte le parole contenenti una data lettera. « Mi ha colpito particolar­mente lo splendido dettaglio della predilezio­ne del Maestro per la lettera zeta (“e vai al cine vacci tu, zazzarazza­z zazzarazza­z”). Sapendolo anche grande giocoliere della parola, ho pensato che forse lui apprezzere­bbe quella breve storiella letta in Racconti carnivori di Bernard Quiriny: “Pierre Gould scrisse un romanzo intitolato Storia di un dormiglion­e che era secondo lui il lipogramma più contratto del mondo: si era precluso tutte le lettere dell’alfabeto, salvo le z. Questo dava come risultato finale: ‘ Zzzz, zzzz, zzzz’ e via di seguito per trecento pagine » . Apprezzzer­à ( tre zeta).

In latino lo stilus era il bastoncino con cui si scriveva sulle tavolette cerate. Il termine, conservato­si nella nostra lingua, passò poi per estensione a indicare il modo di scrivere caratteris­tico di ogni autore, e quindi in generale il modo di agire di un individuo o di una comunità. Parola molto moderna, nel mondo viene associata sempre più spesso all’Italia, soprattutt­o quando si parla del nostro modo di vivere, sempre più ambìto nell’immaginari­o di molte culture. Sapersi presentare, del resto, è questione di stile.

Un fan, rimasto deliziato dalla predilezio­ne di Paolo Conte per la lettera zeta, fa un regalo al Maestro: un romanzo di 300 pagine. Che qui pubblichia­mo

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