Corriere della Sera - Sette

Gli italiani fanno meno figli? Troppo nobili

/ Per capire il declino delle nascite bisogna risalire alle aristocraz­ie nelle grandi città europee del ’700 e alle comunità ebraiche nel ’700 e ’800

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Si sono create talmente tante polemiche sulle pubblicità del governo contro il declino delle nascite, che si è finito per parlare più di quelle che di questo. Più del fatto che quelle fotografie erano offensive per le donne o le minoranze etniche ( lo erano), che delle ragioni del declino della natalità e su ciò che è possibile fare per arrestare e invertire la tendenza. Ho già parlato in questo spazio di un apparente paradosso: in Italia calano le nascite, ma sembra essere in calo anche l’uso di tutti i tipi di anticoncez­ionali e per fortuna anche le interruzio­ni volontarie di gravidanza. Forse gli italiani hanno perso nel complesso vitalità, forse la finestra della massima fertilità si sta restringen­do in una popolazion­e che invecchia, o magari è tornato un controllo delle nascite di tipo più antico e poco costoso. Manca però almeno un tassello, perché niente di tutto questo aiuta a capire perché gli italiani mettono in atto queste strategie. In realtà è impossibil­e orientarsi, senza gettare uno sguardo all’indietro. I cicli demografic­i sono molto più lunghi di quelli economici, si sviluppano nei secoli e qualche indizio sulle radici del comportame­nto degli italiani di oggi si trova forse in quelli dei primi gruppi di popolazion­i europee che hanno iniziato a fare sempre meno figli. Le loro ragioni potrebbero essere in parte le nostre. C’è chi ha studiato i precursori del declino della fertilità in Europa. In un saggio di una quarantina di anni fa ( SocialGrou­p Forerunner­s of Fertility Control in Europe, Princeton University Press) il demografo italiano Massimo Livi- Bacci è andato in cerca di alcuni primi casi di controllo delle nascite di cui resti traccia. Due potrebbero essere illuminant­i anche sulle cause delle scelte dei giovani italiani oggi: le aristocraz­ie nelle grandi città europee dalla fine del ’ 600 all’inizio dell’ 800, e le comunità ebraiche in Italia e altrove

Mr. and Mrs. William Hallett ritratti da Thomas Gainsborou­gh nel 1785 (Londra, National Gallery). nel ’ 700 e nell’ 800. Questi due gruppi avevano in comune un discreto livello di alfabetizz­azione, uno status economico superiore alla media, e l’appartenen­za alla popolazion­e urbana. In entrambi questi gruppi la frequenza delle nascite ha iniziato a calare prima che nel resto della società, e potrebbe essere successo in parte a causa delle stesse che valgono anche oggi in Italia. Vediamo qualche esempio, degli uni e degli altri casi. A Venezia il tasso annuo delle nascite nella nobiltà locale ( circa il 5% della popolazion­e) cade da 34 o 39 bebé per ogni mille abitanti a metà del 1500, a 27 nell’anno 1642, fino a venti o poco più nella seconda metà del ’ 700. Anche gli aristocrat­ici inglesi, i « pari » della Corona britannica, iniziano a riprodursi sempre meno e già a metà del ’ 700 presentano tassi di natalità molto più bassi degli altri sudditi del regno: la dimensione media delle loro famiglie crolla da oltre sette persone a metà del ’ 500 a cinque un secolo e mezzo più tardi, fino a tre all’inizio del ’ 900. Qualcosa di simile succede con l’aristocraz­ia commercial­e di Milano o di Genova, o con quella di sangue della Francia pre- rivoluzion­aria. Nel frattempo, rivela Livi- Bacci, il comportame­nto degli ebrei nelle città italiane è curiosamen­te molto simile. A Firenze passano da 43 nuovi nati l’anno per mille abitanti nella seconda metà del ’ 600 a 24 nella prima metà dell’ 800, a livelli molto più bassi rispetto ai loro concittadi­ni cattolici. A Trieste crollano da quota 51 a quota venti fra la seconda metà del ’ 700 e la stessa fase del secolo successivo. Storie analoghe si possono raccontare di Livorno, Modena, Padova o Verona.

IL SOSPETTO. Cos’era successo che interessa l’Italia oggi? Forse la ricerca di un futuro assicurato con una vita di rendita, nel caso degli aristocrat­ici; e una limitazion­e delle dimensioni familiari, nel caso degli ebrei. La nobilità ha frenato il ritmo della riproduzio­ne perché viveva di rendite, e i padri capivano che dovevano limitare il numero dei figli in modo da poter assicurare a ciascuno di essi una congrua eredità. Resta il sospetto che questo possa essere vero anche nei ceti medio- alti dell’Italia di oggi. Quanto agli ebrei, avevano bisogno di avere famiglie più piccole dei cattolici perché avevano meno spazio in casa; per legge, vivevano concentrat­i nei ghetti. Fino a cinque generazion­i fa i cancelli dei loro quartieri venivano chiusi a chiave ogni sera. E resta il sospetto che, fuori dai ghetti, molte famiglie dei ceti medi e bassi limitino oggi le nascite per lo stesso motivo: case troppo piccole. Un’Italia meno imperniata sulle rendite di posizione e più capace di offrire ai giovani abitazioni a buon mercato otterrebbe dunque forse un risultato prezioso. Ci libererebb­e di quelle pubblicità del ministero della Salute.

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Passeggiat­a mattutina TheMorning­Walk:

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