Le buone maniere spiegate ai ragazzini
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Nella primavera del 1530 Erasmo da Rotterdam pubblica a Basilea un divertente libello sull’educazione dei bambini intitolato De civilitate morum puerilium. Qui il grande umanista offre una serie di riflessioni sulle “buone maniere” che presto diventeranno un punto di riferimento per il fortunato filone europeo della trattatistica sul comportamento ( si pensi agli echi presenti nel famoso Galateo di Giovanni Della Casa). Innanzitutto – oltre a tener conto delle usanze degli altri ( « conviene talvolta fare come il polipo ed adattarsi alle abitudini del paese » ) – non bisogna mai dimenticare che « il disordine e la scostumatezza guastano spesso la bellezza e il decoro » di « tutta la persona » , mentre « un atteggiamento composto rende più bello quello che è già bello per natura, e, quanto ai difetti, anche se non li elimina,
« Ai ragazzi si addice un’assoluta modestia e, tra questi, soprattutto a quelli nobili. Nobili d’altronde sono da considerare tutti quelli che coltivano il loro spirito con lo studio delle arti liberali. Gli altri dipingano pure sul loro stemma un leone, un’aquila, un toro, un leopardo; è più autentica la nobiltà di coloro che possono dipingere sul loro blasone i simboli di tutte le nobili discipline che hanno imparato »
UNA SCENA, UN’IMMAGINE APPENA certo li nasconde e li attenua » ( I, p. 33). Senza peli sulla lingua, Erasmo elenca, in sette brevi capitoli tematici, ciò che non si deve fare: « Il naso non dev’essere gocciolante di moccolo, perché questo è segno di sporcizia » , « Una persona fine non scopre mai, senza assoluta necessità, quelle parti del corpo che si nascondono per un naturale pudore » ( I, p. 35); « Trattenere l’urina fa male alla salute; ma bisogna farla in luogo appartato. Ci sono alcuni che vorrebbero che i bambini, stringendo le natiche, trattenessero le flatulenze del ventre; ma non è intelligente procurarsi un malanno per sembrare ben educato. Se puoi appartarti, fallo da solo; altrimenti […] bisogna coprire il rumore con un colpo di tosse » ( I, p. 43); « Non è fine cacciare dalla bocca e poi posare nel piatto un pezzo di carne masticato » ( IV, p. 59); « Qualcuno si ficca in bocca tanto cibo tutto in una volta, che le guance gli si gonfiano come palloni; altri masticando a bocca aperta, fanno sentire lo stesso suono dei maiali nel trogolo. Parlare o bere a bocca piena non è civile né igienico » ( IV, p. 61); « dir male degli assenti è un delitto » ( IV, p. 63); « Inoltre [ un ragazzo ben educato] non deve mai darsi delle arie, o vantare le proprie cose […], né criticare qualcuno per un suo difetto fisico. Infatti non è solo crudele, ma è anche stupido, chiamare guercio il guercio, zoppo lo zoppo, strabico lo strabico » ( V, p. 71); « Se giochi con bambini meno bravi di te, pur potendo vincere sempre, lasciati superare qualche volta […]. Se poi giochi con persone di condizione inferiore, dimenticati della tua superiorità » ( VI, 73). Ma, assieme alle osservazione pratiche, l’autore ( che già in altre opere si era cimentato nelle vesti di consigliere pedagogico) ci tiene anche a sottolineare che un insegnamento deve sempre tradursi in uno stile di vita. Se nessuno « può scegliersi i genitori o la patria » , « tutti però possono conquistare le qualità morali e intellettuali » ( VII, p. 75). Non basta, quindi, nascere blasonati. La vera nobiltà, infatti, non dipende dal sangue, ma dal sapere che conquistiamo ( sono nobili coloro « che coltivano lo spirito con lo studio delle arti liberali » ) . E il sapere, a sua volta, diventa autentico solo quando si trasforma in una maniera di vivere. di Roberto Burchielli