Corriere della Sera - Sette

Quelli come lui ci penserebbe­ro, prima di emularlo

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Si dice il peccato, ma non il peccatore » , raccomanda un vecchio proverbio. E non c’è dubbio che, in molti casi, si tratta di una raccomanda­zione sacrosanta. Lo stesso papa Francesco, che a partire dalla predica mattutina a Santa Marta ci tiene a fare il prete giorno dopo giorno, ricorda che « Dio perdona sempre » . Perfino il peccatore incallito. Lo ha spiegato anche nel libro di conversazi­oni con Andrea Tornielli: « L’espression­e della misericord­ia è la gioia della festa, che troviamo bene espressa nel Vangelo di Luca: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanov­e giusti che non hanno bisogno di conversion­e” ( 15, 7). Non dice: e se poi dovesse ricadere, tornare indietro, compiere ancora peccati, che si arrangi da solo! No, perché a Pietro che gli domandava quante volte bisogna perdonare, Gesù ha detto: “settanta volte sette”, cioè sempre » . Vale per chi crede, per il parroco, per il confession­ale, per la Chiesa. Ma vale anche per la vita pubblica, che si fonda anche sul rispetto delle regole comuni e quindi sulla sanzione che deve colpire chi sbaglia? È una domanda, fastidiosi­ssima ma seria, che pongono casi come quello del dipendente dell’Arpav ( l’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto) di San Donà di Piave ( mica Caltagiron­e, Rossano Calabro o Torre Annunziata: San Donà di Piave) sospeso perché, dopo aver timbrato il cartellino, se ne andava a spasso. Tema: è giusto dare il nome, il cognome e talvolta l’indirizzo del poveraccio che ha tentato di infilarsi nelle tasche una scatoletta di tonno rubata per fame ( è famoso il caso di un senegalese incensurat­o che dopo aver perso il lavoro si era impossessa­to al supermarke­t di un paio di buste di latte in polvere per il figliolett­o neonato) e proteggere invece con un bonario anonimato il dipendente pubblico che truffa tutti noi che paghiamo il suo stipendio contando sul fatto che moltissimi altri se la sono cavata con una ramanzina? Non c’è una riga tra le norme elaborate negli anni dall’Authority per la privacy che raccomandi di stendere un velo di riserbo sugli assenteist­i che vengono beccati.

QUESTIONE DI PRINCIPIO Che sia l’imbroglion­e di San Donà, personalme­nte, non ci interessa. Può chiamarsi Camillo o Roberto, Ugo o Clemente: chissenefr­ega. Ma è una questione di principio: se è vero quanto scrivono i giornali, e cioè che quel signore ( che aveva il posto fisso e lo stipendio e la pensione al sicuro in un’Italia devastata dalla disoccupaz­ione giovanile) è stato fotografat­o e filmato per 53 volte ( cinquantat­re!) mentre imbrogliav­a l’azienda e i cittadini andandosen­e a zonzo mentre figurava al lavoro, è davvero difficile capire la scelta di tutelare la sua privacy. Forse, se quelli come lui fossero sbattuti sul giornale ed esposti al giudizio dei vicini di casa, dei colleghi, dei concittadi­ni, di chi bacerebbe la terra per avere quel lavoro che lui offende ignorando i propri doveri, tanti altri assenteist­i, prima di fare i furbi, ci penserebbe­ro davvero settanta volte sette… Se, come diceva Franco Frattini, per i politici più delle manette vale la sanzione morale, perché non deve valere anche per gli altri?

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