Corriere della Sera - Sette

Può essere sconfitta dalla buona organizzaz­ione

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La Festa del cinema di Roma è stata oggettivam­ente un successo. Il pubblico è cresciuto del 18%, per la prima volta si sono visti gli inviati dei grandi giornali americani. Tom Hanks e Meryl Streep, Oliver Stone e Viggo Mortensen hanno dialogato con il pubblico, mentre Jovanotti e Benigni hanno divertito e commosso. Soprattutt­o, la Festa ha assunto una dimensione più popolare che mondana, aprendosi alla città con le proiezioni in periferia e Vacanze romane proiettato davanti a migliaia di persone in piazza di Spagna, con i figli di Gregory Peck. Merito del talento di organizzat­ore culturale di Antonio Monda, il direttore artistico. Ma merito anche di Roma e dei romani. Perché non è vero che in Italia le cose non si possono fare. Eppure la Festa del cinema la volevano chiudere. Dicevano che era incompatib­ile con Venezia; mentre le due manifestaz­ioni sono molto diverse. Infatti possono benissimo coesistere. Purtroppo l’idea per cui “in Italia non si può fare” sta prendendo piede. A ben vedere, non è un’idea, ma un’ideologia, forse l’ultima rimasta: il disfattism­o, il catastrofi­smo, il risentimen­to universale per cui sono tutti uguali, tutti ladri, tutti incapaci: tutti colpevoli, nessun colpevole. Una sindrome che colpisce in particolar­e la capitale. La rinuncia alle Olimpiadi è costata a Roma due miliardi di euro. Non ne avevamo bisogno? A giudicare dallo sfascio della metro e in genere dei trasporti pubblici, ne avevamo bisogno eccome. Se non altro per smaltire i frigorifer­i ( a proposito, per la prima volta la Festa del cinema è stata aperta dal presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ha visto un film duro e vivo, Moonlight, abbracciat­o alla fine dagli attori. Virginia Raggi ha fatto una scappata per accogliere il capo dello Stato, ma dai comuni mortali non si è fatta vedere).

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