Anche ai tempi di Facebook
il progetto DiMMi ( Diari Multimediali Migranti) abbiamo costituito, con enti e istituzioni della Toscana, un’incubatrice dove far affluire testi, diari, voci raccolte sul campo dalle organizzazioni umanitarie » . Lireta Katiaj è già tra i famosi. Sbarcata in Puglia dall’Albania, poco meno di vent’anni fa, è riuscita a trasmettere in un idioma appreso dalla tivù il freddo, l’angoscia, il rimorso che l’accompagnavano nella traversata, con gli spintoni e gli insulti degli scafisti: « Quando ti trovi in mezzo al mare, di notte, con i tuoi figli a bordo di un gommone, cambi idea immediatamente di quello che hai appena fatto, ti senti in colpa e non puoi far niente. Speri solo di arrivare a toccare terra e basta » . Ha confessato l’umiliazione con cui incassò il ceffone di un poliziotto italiano che l’aveva sorpresa fradicia e smarrita sulla spiaggia, abbandonata dagli altri clandestini in fuga. Lo schiaffo era forse idealmente destinato ai latitanti, ma colpì la guancia di una mamma che stava allattando. E poi c’è la rimonta verso la legalità, un lavoro e l’autonomia, in Sicilia, verso l’avvenire che Lireta si rimproverava d’aver anche solo osato desiderare per sé e per sua figlia. Il suo resoconto ha affascinato editori, registi e attori che hanno pubblicato e portato sulla scena quel che l’Italia, allarmata, non aveva potuto o voluto vedere al tempo degli sbarchi degli albanesi: il fattore umano.