Il ladro di Hitler che tutti quei capolavori degenerati
Dopo la vittoria alle elezioni, e fino allo scoppio della guerra totale, la politica culturale dei nazisti fu quella avviata la notte del 10 maggio 1933: i Bücherverbrennungen – i roghi ( e anzi l’Auschwitz) dei libri « contrari allo spirito tedesco » . Quella notte, nelle principali città tedesche, da Berlino a Norimberga, si alzarono roghi alimentati dalle opere di Thomas Mann, Hemingway, Brecht, Marx, Karl Kraus e Walter Benjamin, Stefan Zweig, Jack London. Come ci racconta Anders Rydell, scrittore e giornalista svedese, in un appassionante reportage: Ladri di libri. Il saccheggio nazista delle biblioteche d’Europa, fu una specie di rito vichingo: « No al degrado morale, sì alla disciplina e
Salla moralità nelle famiglie e nello Stato! Consegno alle fiamme gli scritti di Heinrich Mann ed Erich Kästner. No alla sopravvalutazione della vita pulsionale, che rode l’anima; sì alla nobiltà dello spirito umano! Consegno alle fiamme gli scritti di Sigmund Freud » . Ci fu un « prima » e un « dopo » Weimar. Da un giorno all’altro la repubblica en travesti del cinema espressionista, la Germania sbandata e permissiva del cabaret satirico, fu travolta e calpestata dal Reich bigotto e wagneriano dei mostri e serial killer da film dell’orrore. Ogni traccia di Zivilisation, d’umanesimo e ratio illuminista, svanì in una fiam- e con le biblioteche degenerate pareggiò subito i conti, mandando al rogo i libri «demogiudaici» già nel 1933, il Führer pazientò fino al 1936, l’anno delle Olimpiadi, per mettere al bando anche le «pinacoteche degenerate»
il dadaismo, l’impressionismo, il Bauhaus, l’arte astratta e soprattutto l’espressionismo tedesco, che piaceva a Goebbels ma non piaceva a Hitler (benché anche quest’ultimo, al pari di Goebbels, fosse un incubo espressionista incarnato). Goebbels, che aveva «parole d’encomio per le sculture d’Ernst Barlach e per la pittura d’Emil Nolde e d’Edvard Munch», si circondava «nei suoi uffici e appartamenti privati delle opere di questi artisti». Hitler gliene fece passare la voglia. Come raccontano Meike Hoffman e Nicola Kuhn in un Anders Rydell, Centauria 2016, pp. 448, 18 euro. avvincente saggio storico, fu dopo le Olimpiadi che Hitler dichiarò guerra all’arte moderna: la bandì dai musei e la espropriò senza indenizzo ai collezionisti. In parte distrutte, le opere degeneri e «negroidi» furono in parte destinate alla mostra sull’«arte degenerata» del 1937 (il Führer, che avrebbe voluto puntare su una mostra d’arte «etnonazionalista», ebbe una crisi isterica quando gli Louis ed Else Gurlitt con i sette figli in un ritratto di famiglia, 1872 (a destra, in alto); Adolf Ziegler inaugura la mostra a Monaco, 1937 (qui, a lato); la cover (sopra) de di Hoffman e Kuhn, Newton Compton 2016, pp. 381, 12 euro, eBook 4,99 euro.
Il saccheggio nazista delle biblioteche d’Europa