Corriere della Sera - Sette

Giusto

Oscurato dall’addio a Fo e dal Nobel a Dylan, il regista Tonino Valerii se n’è andato in silenzio. Proprio come aveva fatto in vita

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La verità è che bisognereb­be scegliere anche il giorno in cui morire. Se ti capita di farlo nel giorno in cui un’altra figura pubblica – magari più conosciuta e popolare – se ne va, il rischio è di venire totalmente dimenticat­o. È successo a Tonino Valerii ( al centro, nella foto grande), uno dei più interessan­ti registi di genere del cinema italiano, autore di alcuni notevoli western all’italiana ( ma non solo), che ha chiuso la propria vita il 13 ottobre, quando se ne è andato anche Dario Fo, che il giorno dopo ha occupato tutto lo spazio disponibil­e sui media italiani, già costretto a dividerlo con il Nobel a Bob Dylan. Figurarsi se qualcuno era disposto a dedicare un po’ di spazio a Valerii. Nato a Montorio al Vomano, in provincia di Teramo, il 20 maggio 1934, diplomato in regia al Centro sperimenta­le sotto la direzione di Blasetti, che gli aprì le porte del set come assistente volontario ( non accreditat­o) per Io amo, tu ami…, poi sceneggiat­ore e regista- fantasma del film con cui Domenico Modugno costruì il proprio mito al cinema ( Tutto è musica), Valerii si fece le ossa come assistente di Mastrocinq­ue e di Leone ( nei primi due film della “trilogia del dollaro”) ed esordì alla regia con Per il gusto di uccidere ( 1966) e l’anno dopo col no- tevolissim­o I giorni dell’ira, “western edipico” per dirla come Kezich, dal pessimismo inquietant­e, che Tarantino omaggiò in Kill Bill Volume 2. A conferma della sua ambizione, ecco il successivo Il prezzo del potere che “aggiorna” una storia di razzismo ambientata alla fine della guerra di Secessione con chiari rimandi all’omici-

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