Corriere della Sera - Sette

L’eccitazion­elittoria per il vincitore (chiunque sia) È un italico vizietto che spinge molti al conformism­o (o servilismo?). Vedi il recente caso di Donald Trump

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Egregio Severgnini, capisco che per il campione mondiale del politicame­nte corretto, quale Lei è, sia un colpo durissimo: la larga maggioranz­a di un popolo sovrano non s’è accodata alle lezioncine morali e di buon comportame­nto che piovevano da ogni parte. Ma il fatto favoloso è un altro. Lei ha l’ardire di definire “conformist­a” chi si compiace della vittoria di Donald Trump (come il sottoscrit­to). Incredibil­e. Quando ho scritto “conformist­a” non mi riferivo agli elettori di Trump ( quelli hanno votato per un’America monocromat­ica che non c’è più, ma questo è un altro discorso). Parlavo dell’Italia, dove il conformism­o - servilismo? - porta molti a sfoderare un’eccitazion­e littoria per il vincitore, chiunque sia. E induce diversi commentato­ri a scoprire, improvvisa­mente, che il buon Donald in fondo non è male, che i suoi modi sono gioviali, le sue proposte ragionevol­i, etc. Ecco il conformism­o cui mi riferisco. La vittoria, in democrazia, è da rispettare: ovvio. Ma il successo di Trump, a mio giudizio, non è una buona notizia. Il candidato repubblica­no ha vinto mettendo gli americani gli uni contro gli altri ( Obama, Bush Jr, Clinton, Bush Sr, Reagan e Carter non l’avevano fatto); ha cercato di delegittim­are l’avversaria; ha detto che non avrebbe accettato il risultato, in caso di sconfitta. È questo lo statista di cui festeggiam­o il trionfo? Pronto a ricredermi: davanti ai fatti, però.

Doppia America Caro Bsev, il miliardari­o Trump ha compreso, meglio della Clinton, le frustrazio­ni, le paure, i bisogni del ceto medio impoverito. Sarà. Io non mi capacito come il maschio bianco dell’America profonda, per nulla minacciato da invasioni di migranti, abbia potuto votare un programma che prevede l’abbattimen­to delle tasse per i ricchi e la rottamazio­ne della riforma sanitaria di Obama. Lei ha una spiegazion­e convincent­e?

Non so se è convincent­e, ma eccola. Donald Trump ha saputo unire lo scontento econo- mico dell’America operaia ( Pennsylvan­ia, Michigan, Ohio, Wisconsin) alla frustrazio­ne politica, ideologica e religiosa dei conservato­ri del Centro e del Sud ( su questioni come armi e aborto). Ho attraversa­to quei posti, nel 2012 e 2013. Mi sono reso conto che Obama veniva visto come un intellettu­ale ( a Cleveland e a Milwaukee) o come un intruso ( a Pensacola, Baton Rouge, Dallas). Non mi ero reso conto di quanto fosse forte questo sentimento. Aggiungo: queste due Americhe - blue- collars e rednecks - hanno votato in massa il candidato repubblica­no Donald Trump. L’America multicolor­e e mescolata - più giovane, aperta e tollerante - non ha mostrato lo stesso entusiasmo per Hillary Clinton e i democratic­i. Che infatti hanno perso. Lei dirà: ma prima non l’aveva capito? Risposta: purtroppo no, come tanti altri.

Europa senza prua Gentile Severgnini, recentemen­te lei ha scritto: «Di questa Europa il Regno Unito è la prua. Una nave senza prua è una zattera; ma una prua senza nave affonda». Ebbene, qui non c’è nessuna prua o zattera, qui c’è uno Stato europeo che si è pronunciat­o con un referendum. Troppo comodo adesso rimangiars­i tutto. Ero per “Remain”, non per Brexit. Ma non sopporto che un voto venga accettato solo quando piace a noi. Infatti non credo che la House of Commons si metterà contro il voto popolare di giugno. Brexit vuol dire Brexit. Però è giusto che il Parlamento si esprima; l’appartenen­za all’Unione Europea è una questione gigantesca, non può essere lasciata al governo di turno. Diciamo che Teresa May ci ha provato, ma le è andata male.

La scommessa della globalizza­zione Caro Beppe, ritengo che il declino economico dell’Occidente, e in particolar­e dell’Italia, sia principalm­ente dovuto alla globalizza­zione, che ha permesso ai Paesi asiatici, grazie ai bassissimi costi del lavoro, di distrugger­e buona parte del nostro tessuto manifattur­iero. Purtroppo non è politicame­nte corretto parlare di queste cose. Che ne pensa?

Penso che i prezzi bassi dei prodotti asiatici piacciono a tutti. Certo, hanno un costo sociale. Ma provi a chiedere, dentro un negozio di elettronic­a: « Siete disposti a pagare il doppio questo amplificat­ore, così manteniamo la produzione in Italia? » . Vedrà cosa le rispondono. La scommessa era questa: lasciare i lavori manuali ripetitivi ai Paesi emergenti, e inventarsi nuovi mestieri, specializz­ati e remunerati­vi. Purtroppo, la stiamo perdendo.

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