Corriere della Sera - Sette

Elisabetta Rosaspina

Restare lì tutta la vita. E mamme assistere figli senza speranza»

- Di

Niente equivoci. L’Africa di Niccolò Fabi non è quella di Ernest Hemingway o di Karen Blixen: non schiude scorci su tramonti di fuoco, safari emozionant­i, piantagion­i di caffè, bellezze dalla pelle d’ebano, notti stellate in tenda e tè nel deserto. Anche il cantautore romano è stato contagiato dal mal d’Africa, ma lo confessa a fatica, preoccupat­o di cadere in struggenti stereotipi sul fascino esotico del Continente nero. C’è da credergli, insomma, quando dice – e non per stupire – che, in Africa, lui ha trovato « innanzitut­to, l’Italia migliore » . Quell’Italia valeva il lungo viaggio, anzi i viaggi che da quasi dieci anni lo impegnano in un regolare andirivien­i con l’Angola e il Sud Sudan, dal 2009 a sostegno del Cuamm ( Collegio universita­rio aspiranti medici missionari), meglio noto come Medici con l’Africa, l’ong- onlus padovana fondata nel 1950 dal vescovo Girolamo Bortignon e dal professor Francesco Canova. « Mi piace quel “con”: Medici con l’Africa e non per l’Africa » Fabi sottolinea quello che non gli pare un dettaglio. « Dimostra che non hanno un approccio assistenzi­alista all’Africa, come continente da aiutare. Mi è piaciuto il loro modo di operare, molto pratico rispetto ai progetti di molte grandi fondazioni occidental­i. Sono stato fortunato ad avere, fin dal principio, la

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