Moggi testimonial Lucianone, l’uomo di Calciopoli, funziona. Corona, quello dei due milioni di euro nascosti nella controsoffittatura, pure: siamo pronti per il Trump italiano
Come molti, sono perseguitato da persone legittimamente dedite all’autopromozione. È incredibile ad esempio quanti italiani scrivano romanzi poesie racconti, in un Paese che legge pochissimo ( il mercato librario in Italia vale un miliardo di euro, in Germania nove). Poi ci sono le aziende e le agenzie di comunicazione, che fanno il loro mestiere, in modo a volte anche esilarante. La “Easy News Press Agency” ad esempio comunica l’irrinunciabile notizia: « Le fragranze Roberto Zeno conquistano Philippe Daverio » . Le cose si complicano quando la stessa agenzia annuncia con orgoglio « l’ex dirigente sportivo Luciano Moggi in visita allo stabilimento del designer Roberto Zeno Spa » , « per scegliere direttamente in sede accessori di moda per sé e da regalare per le prossime festività » . Inoltre, « al termine si è fermato per una lunga riunione col patron dell’azienda » . Infatti « in tanti ritengono che Luciano Moggi stia meditando il grande ritorno nel mondo del calcio, e che stia tessendo una serie di rapporti con l’alta imprenditoria italiana per costituire una solida cordata con la quale intraprendere iniziative in tal senso » . Una foto di Moggi che si aggira nella sede della Roberto Zeno Spa con gli occhiali scuri conferma la veridicità dell’assunto. Ora, Luciano Moggi è stato condannato dalla giustizia sportiva. Questo non implica la morte civile; certo l’uomo si intende di calcio; infatti i suoi articoli in materia sono interessanti. Ma l’idea stessa che Moggi sia usato come testimonial in un Paese normale sarebbe inquietante. In Italia è normalissima, anzi cool, smart, trendy. Funziona. Del resto i due milioni di euro che Fabrizio Corona nascondeva nella controsoffittatura della sua assistente mica sono piovuti dal cielo: qualcuno glieli ha dati; perché di Corona c’è grande richiesta. Siamo pronti per il Trump italiano. Non a caso il Paese è pieno di trumpisti della penultima o dell’ultima ora. Forse il nostro Trump l’abbiamo già avuto: Berlusconi.
A proposito di mail, di rete, di social: non è ancora diffusa la percezione della gravità dei rischi di manipolazione e violazione della privacy. Serve un salto di qualità da parte di legislatori e autorità di garanzia per fronteggiare le nuove sfide proposte dal web, dove i confini e le giurisdizioni nazionali si confondono. Se ne sta occupando Maurizio Mensi, professore di diritto dell’informazione e della comunicazione alla Luiss, che insieme con il collega Pietro Falletta ha creato@ LawLab, un Laboratorio di ricerca sul diritto del digitale. La situazione è destinata ad aggravarsi con l’Internet delle cose, i sistemi interconnessi e le tecniche di analisi predittiva e comportamentale sempre più evolute. Le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale e il ruolo delle informazioni basate su dati biometrici, come le impronte digitali o le caratteristiche del volto, prefigurano un sistema di controllo generalizzato sulle nostre vite che non ha precedenti. È di qualche giorno fa la notizia della banca dati francese istituita a fini antiterrorismo e destinata a raccogliere i dati di sessanta milioni di persone, così come l’intenzione del governatore di New York Andrew Cuomo di installare sensori e software per sistemi di riconoscimento facciale di chi entra in città. Oggi c’è già qualcuno che riesce a leggere i nostri pensieri semplicemente osservandoci, come la società di Chicago che sta brevettando un sistema che consente, mediante un algoritmo, di prevedere il comportamento di soggetti protagonisti di video già presenti in rete. Considerato che dalla capacità di prevedere il comportamento degli individui a quella di orientarlo il passo è breve, la cosa preoccupante è che non sono soltanto forze di sicurezza e autorità pubbliche a poter fare uso di simili tecniche. Entriamo in una terra incognita, e dobbiamo lavorare per fare luce. Luciano Moggi, ex dirigente sportivo e manager calcistico, è stato condannato dalla giustizia sportiva.