Corriere della Sera - Sette

Simbolo di tutte le nostre fragilità

L’opera di Puccini nella versione originale del 1904 apre la stagione della Scala. Riccardo Chailly dirige, Alvis Hermanis firma la regia tra Kabuki e psicologia

- Di Gialuca Bauzano -foto di e

SMarco Brescia Rudy Amisano

embra di passeggiar­e nel giardino del Paese delle meraviglie di Alice, ma i fiori gigantesch­i non ti avvolgono come capita all’eroina di Carroll, sono invece l’anima di enormi wallpaper appoggiati sul pavimento, sbocciati dai pennelli degli scenografi del Teatro alla Scala. Una volta finiti e sollevati da terra ricopriran­no enormi shĿji, i pannelli scorrevoli delle case giapponesi. Quelli che stanno prendendo corpo nei gigantesch­i Laboratori Atelier Ansaldo del Teatro saranno parte integrante della strut- tura della casa giapponese per eccellenza della lirica, quella dove si svolge l’infelice vicenda di Madama Butterfly di Giacomo Puccini. Titolo con cui il 7 dicembre prossimo si aprirà la nuova stagione del Piermarini: sul podio di orchestra e coro scaligeri, il direttore musicale del Teatro Riccardo Chailly, nei due ruoli principali di Cio Ciosan ( Madama Butterfly) e di F. B. Pinkerton, il soprano uruguaiano Maria José Siri e il tenore americano Bryan Hymel. Questa nuova produzione porta la firma del regista di prosa lettone Alvis Hermanis, al suo terzo impegno scaligero dopo Die Soldaten di Zimmermann e I due Foscari di Verdi, titoli in scena la scorsa stagione. « La mia prima Butterfly, il mio secondo Puccini: l’altro è stato quello di Tosca a Berlino, sul podio Barenboim » , dice Hermanis durante una pausa dalle prove di scena in Ansaldo. Bell’impegno davvero. Deve cimentarsi con la versione originale dell’opera, quella in due atti, debuttata proprio alla Scala nel febbraio 1904 scontentan­do il pubblico di allora. Salvo poi, tre mesi dopo a Brescia con un rapido ripensamen­to, trasformar­e Butterfly con i “ritocchi” del suo autore in uno tra i melodrammi più amati al mondo. « Al di là di queste vicende, affrontare una partitura di Puccini è come lavorare su un testo di Ibsen o Cechov, autori capaci di esprimere chiarament­e con la parola ogni più piccola sfumatura. Altrettant­o fa Puccini con la sua musica. Il mio è stato un lavoro di profonda introspezi­one psicologic­a » . Nessuna concession­e ai languori un po’ mélo? « Le melodie pucciniane sono fatte di dettagli » , replica il regista. Puntando così proprio su quella « apparente compostezz­a

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