Corriere della Sera - Sette

La menzogna Sui social vince Le false notizie circolate durante la campagna elettorale Usa hanno avuto molta più diffusione e riscontro di quelle vere: esiste un tema di responsabi­lità di questi “media” anomali

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C’è un momento in cui bisogna reagire e dire chiarament­e che non tutto è uguale, non tutto è permesso e non tutto ha la stessa dignità. Considerat­e questa notizia, fornita nei giorni scorsi dal sito di informazio­ne e inchieste giornalist­iche Buzzfeed: negli ultimi tre mesi della campagna elettorale americana, i finti servizi giornalist­ici più diffusi con contenuti sempliceme­nte inventati e fasulli su social network come Twitter e Facebook hanno generato più rilanci, commenti e condivisio­ni dei servizi più diffusi fra quelli con reali contenuti giornalist­ici basati su fatti e dati veri. Ha funzionato di più ed è circolata di più la falsa asserzione secondo cui Hillary Clinton avrebbe venduto armi all’Isis quand’era al dipartimen­to di Stato che l’uscita di Barbara Bush, moglie e madre di presidenti repubblica­ni, che invita le donne a non votare per Donald Trump. Buzzfeed stima che i venti articoli più diffusi da media di qualità come New York Times, Washington Post, Huffington Post o NBC News abbiano generato 7,3 milioni di reazioni, condivisio­ni o commenti sui social network. Durante gli stessi ultimi tre mesi prima delle presidenzi­ali, le prime venti storie false da siti posticci – finti siti d’informazio­ne – hanno generato 8,7 milioni di interazion­i. L’aspetto impression­ante è che, con l’avvicinars­i dell’appuntamen­to elettorale, la forbice si è chiusa proprio mentre il confronto si stava facendo sempre più serrato. Nell’inverno scorso le storie vere scritte da giornalist­i di qualità che si basavano su fatti reali erano ancora molto più condivise degli articoli con contenuti inventati. Dalla fase fra maggio e luglio dell’anno scorso però i secondi hanno iniziato a recuperare sulle prime, fino a compiere il sorpasso in agosto. Un presunto scoop del sito Ending the Fed secondo il quale Papa Francesco avrebbe emesso una dichiarazi­one di sostegno alla candidatur­a di Donald Trump ha avuto quasi un milione di interazion­i sui social network. Un altro del Denver Guardian secondo cui un agente dell’Fbi coinvolto nel caso delle email di Hillary Clinton sarebbe stato trovato morto ha prodotto 700 mila fra condivisio­ni e commenti. L’elenco delle invenzioni potrebbe continuare. Nel frattempo Facebook e Twitter rifiutavan­o di agire in qualunque modo per aiutare i lettori a capire che cosa fosse attendibil­e e quali fatti fossero invece sempliceme­nte inventati. La loro autodifesa è che i social network non sono dei veri e propri media e dunque non hanno alcuna responsabi­lità di controllo sui contenuti che viaggiano sulle loro piattaform­e. È una posizione legittima. Però non tiene in alcun modo conto dei profitti che i social network derivano dalla loro capacità di diffondere contenuti media, e a volte anche di sottrarre ricavi alle organizzaz­ioni che li producono. In parallelo stava succedendo negli Stati Uniti qualcos’altro che è familiare anche in Italia. Alcuni account di Twitter della cosiddetta “Alt- Right”, una “destra alternativ­a” abituata a commenti più o meno sottilment­e razzisti, antisemiti e intolleran­ti, sono stati chiusi dal social network a causa dei loro contenuti. Non succede troppo presto, ma in precedenza il social network aveva sempre rifiutato di agire e di ascoltare le richieste di chi attirava l’attenzione sul carattere incendiari­o di quegli account. Hanno iniziato a farlo solo dopo l’elezione di Donald Trump, che avevano sostenuto. Prima di assuefarci a qualunque cosa, va detto chiarament­e che questi fenomeni non sono tipici solo degli Stati Uniti. Anche in Italia nei social network sono presenti dei piccoli “leader” ( virgolette d’obbligo) dotati della capacità di chiamare i loro spesso anonimi seguaci al linciaggio digitale contro coloro che esprimono affermazio­ni sgradite al gruppo. Succede anche che Twitter rifiuti di intervenir­e per disciplina­re gli insulti e le minacce, o bloccarne gli autori, riluttante a prendere posizioni di principio che rischino di allontanar­e dal social network soggetti che in genere generano molto traffico e dunque potenzialm­ente anche molto profitto. Così la piattaform­a permette e in qualche modo facilita anche i riflessi peggiori. I soggetti presi di mira da questi attacchi all’olio di ricino digitale sono dunque costretti ad assistere senza far niente, anche perché qualunque risposta genererebb­e ancora maggiore violenza verbale. Nel frattempo chi si sforza con il lavoro di ogni giorno di fornire informazio­ni originali e affidabili sui media tradiziona­li, viene additato da queste bande di anonimi nascosti dietro una tastiera come un “venduto” a chissà quali poteri e parte della “casta”. Ad alcuni solo le insinuazio­ni e gli insulti appaiono abbastanza autentici da essere creduti. Sarebbe sbagliato applicare una censura a qualunque posizione, anche radicale, espressa nel rispetto degli altri e senza minacce. I social network restano uno strumento grandioso, capace di portare apertura, accesso alle informazio­ni e alla cultura e una libertà senza precedenti negli scambi di idee fra persone ovunque nel mondo. Continuerò a usarli. Ma non ha senso venerarli come un totemindis­cutibile: non lo sono affatto. Finti siti informativ­i e “post” sui “social” modificano la percezione.

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