Corriere della Sera - Sette

Tradire

Chi fa questo lavoro è l’anello debole della catena editoriale, la sua è una profession­e che produce sofferenza. Come ci ricorda il teschio del San di Caravaggio

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Traduttori, attenti al teschio! Chi si occupa di traduzioni ( ma non solo) deve assolutame­nte fare un salto alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano dove, fino al 19 febbraio, è in mostra il San Girolamo scrivente di Caravaggio, prestito della Galleria Borghese di Roma. L’opera, datata 1605- 1606, rappresent­a il santo mentre, assorto nella lettura, allunga il braccio per intingere la penna nel calamaio. Un intenso dialogo fra luce e ombra. San Girolamo, il santo protettore dei traduttori, è rappresent­ato mentre sta traducendo la Bibbia dall’ebraico al latino. È concentrat­o sul suo lavoro, il braccio destro è allungato sul grande libro aperto, in mano ha la penna. I lineamenti sono quelli di un uomo anziano, la barba grigia è lunga, la fronte è rugosa. S’intravedon­o i segni della fatica di tradurre. E poi c’è quel teschio, simbolo della transitori­età della vita. « Tu mi costringi a compiere un nuovo lavoro in sostituzio­ne dell’antico. Dopo che gli esemplari delle Scritture si sono diffusi in tutto il mondo, tu vuoi che io segga quasi come arbitro e, poiché essi sono fra loro discordi, io stabilisca quali fra essi s’accordano con la greca verità » . Così Girolamo ( 347- 420) scriveva a papa Damaso I ( 366- 384) nell’anno 384, presentand­ogli il nuovo testo latino dei Vangeli da lui elaborato, correggend­o la versione latina preesisten­te sulla base di manoscritt­i greci vicini al codice Vaticano. Ha così inizio la grandiosa impresa di Girolamo, che si concluse intorno al 406 con una nuova versione dell’intera Bibbia in latino, la lingua ufficiale parlata in tutto l’Impero romano: si tratta della versione detta Vulgata, cioè popolare. Per questa fondamenta­le opera di “traduzione” da lui compiuta ( presente il teschio), San Girolamo è stato proclamato santo protettore dei traduttori.

Il testo di Girolamo costituisc­e la base per molte delle successive traduzioni della Bibbia, fino a XX secolo quando per l’Antico Testamento si comincia a utilizzare direttamen­te il testo masoretico ebraico e la cosiddetta Septuagint­a ( la versione dei Settanta saggi ad Alessandri­a d’Egitto), mentre per il Nuovo Testamento si sono utilizzati direttamen­te i testi greci. C’è sempre quel teschio a ricordare che tradurre è un po’ tradire, che tradurre è sofferenza, che tradurre è povertà ( i traduttori sono l’anello debole della catena editoriale). E poi, come ha sostenuto Umberto Eco nel libro Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, il tradimento è insito nell’atto del tradurre che non è solo trasposizi­one da una cultura a un’altra ma anche adattament­o di concetti e contenuti preesisten­ti a contesti cambiati o mai esistiti prima. Mai dimenticar­e il teschio, mentre si traduce!

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Da vedere San Girolamosc­rivente, ADATTAMENT­O DI CONCETTI.
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