Corriere della Sera - Sette

Sughero sì sughero no, quando di mezzo c’è il tappo

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L’enologo Angelo Solci, in una scheda sui solfiti dell’encicloped­ica

(ed. Skira 2016), fa notare come in Italia lo sforzo di conciliare sostenibil­ità e qualità ha portato tutti i produttori importanti a diminuire drasticame­nte l’uso dei solfiti con nuove tecniche di vinificazi­one e un’attenzione maniacale ai dettagli. Per esempio Jermann, uno dei più noti marchi del Collio, ha portato tutti i suoi bianchi sotto gli 80/100 mg/l anche grazie alla scelta di usare solo moderni ed efficaci tappi a vite (con il sughero si deve aggiungere, in media, un 25% di solfiti in più). I tappi di sughero naturale, che si usano ormai da 250 anni, sono considerat­i ancora l’ideale per i grandi vini da lungo invecchiam­ento, ma creano svariati problemi alla conservazi­one del vino. Il più noto è quel che si chiama…«sa di tappo!». Sempre stando a winefolly. com, oggi solo l’1-2% di tappi di sughero arriva a corrompere il vino contaminan­dolo di una sostanza maleodoran­te che sa di muffa (il tricloroan­isolo TCA), che si crea in bottiglia attraverso una serie di reazioni chimiche. Il cloro dall’ambiente reagisce con le molecole di lignina presenti nel tappo di sughero così da produrre il TCA, che poi viene denaturato da muffa. Risultato, uno dei più potenti aromi al mondo, che alcuni esperti riescono a percepire in un vino anche già da percentual­i infinitesi­mali (2 parti su mille miliardi).

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