Corriere della Sera - Sette

LA QUESTIONE DEI SOLFITI DAI CALICI ALLE PATATINE FRITTE

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In tempi d’attenzioni salutiste di massa, al limite del maniacale, il mondo del vino deve fare i conti, tra l’altro, con le ricorrenti polemiche sulla questione dei solfiti. Prima di tutto, di che cosa parliamo? L’anidride solforosa presente nel vino sotto forma di solfiti è un conservant­e aggiunto, o già esistente nell’uva, prima della fermentazi­one. I vini contengono da 10 parti per milione di solfiti a 400 parti per milione, che è il limite massimo consentito per legge ai vini dolci. Così recita, per esempio, la voce specifica nel glossario che Madeline Puckette e Justin Hammack, esperti di fama, fondatori di winefolly.com, hanno messo alla fine del loro recente

(ed.it. Vallardi 2016). Nello stesso agile e fondamenta­le volume vengono proposti alcuni confronti sorprenden­ti: una lattina della più nota bevanda gassata contiene 350 mg/litro di solfiti, il bacon generalmen­te il doppio, le patatine fritte viaggiano a duemila parti di solfiti circa per milione, la frutta disidratat­a come albicocche e fichi addirittur­a 3 mila 500 mg/litro. Legalmente, nei vini, 10 milligramm­i/litro è il limite al di sopra del quale, per disposizio­ne europee, il produttore deve dichiarare in etichetta: «Contiene solfiti».

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Il vino - Guida

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