Corriere della Sera - Sette

È la fine delle élite?

- Di Pier Luigi Vercesi

La fotografia di questo fine 2016, anno vissuto intensamen­te, è nitida, non deve essere interpreta­ta, basta guardarla. Si è verificato quello che pochi inascoltat­i “gufi” avevano predetto: il mondo occidental­e è entrato in crisi d’identità e si è consumata una frattura apparentem­ente insanabile tra le élite di pochi benestanti colti che vivono nei centri storici delle città e l’immensa periferia planetaria, umiliata e arrabbiata, che non sa, non può o non riesce a ragionare se non gridando il proprio NO. Il disagio e la rivolta sono assolutame­nte comprensib­ili, ma altrettant­o chiara è l’incapacità di fornire proposte alternativ­e. La seconda immagine che abbiamo sotto gli occhi è l’impression­ante modestia delle classi dirigenti nel momento in cui la vastità e l’interconne­ssione delle problemati­che generate dalla rivoluzion­e tecnologic­a richiedere­bbero carattere, intuizione, capacità di comprender­e la realtà oltre le apparenze. Indietro non si torna. Se non vogliamo rischiare anni di terrore come quelli che seguirono alla Rivoluzion­e francese e uscirne con l’avvento di un uomo forte che ripristini l’ordine, le élite liberali ora alla gogna devono riconquist­arsi la fiducia delle periferie risorgendo dai propri errori e inaugurand­o una stagione del “pensiero umile”, come ha sollecitat­o Stephen Hawking sul quotidiano inglese The Guardian. Occorre, però, fare chiarezza su che cosa si intende per élite. Se immaginiam­o qualcosa di omogeneo – pochi “fortunati” impegnati a tutelare se non a moltiplica­re la propria rendita di posizione – siamo fuori strada. Esiste un’élite di potere e di denaro e un’élite di pensiero e di solidariet­à. La prima è quella che ci ha governato fino ad ora, ghettizzan­do l’altra in università, centri di ricerca, società civile a cui venivano sottratti finanziame­nti e ambiti di manovra. All’élite di pensiero è stato solo concesso di esprimere i buoni sentimenti per mascherare la rapacità dell’élite economica. Così la periferia l’ha percepita come un tutt’uno e si è schierata contro chiunque esprimesse “idee buoniste”, immaginand­o ( spesso non a torto) che dietro si nascondess­e l’ennesima fregatura. Se ci aspettiamo il bagno di umiltà dall’élite finanziari­a, attenderem­o invano: non è nella sua natura, ha come obiettivo l’accumulo personale e non teme i disordini perché crede di poter sempre trasferire il proprio benessere altrove. Sta all’altra élite, quella di pensiero, trovare il coraggio di uscire allo scoperto e di rinsaldars­i con la periferia ( di cui spesso economicam­ente fa parte), vincendo la comprensib­ile tentazione di evitare umiliazion­i in un mondo sempre più aggressivo e volgare. È un percorso lungo e accidentat­o, ma necessario.

pvercesi@ corriere. it

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