È la fine delle élite?
La fotografia di questo fine 2016, anno vissuto intensamente, è nitida, non deve essere interpretata, basta guardarla. Si è verificato quello che pochi inascoltati “gufi” avevano predetto: il mondo occidentale è entrato in crisi d’identità e si è consumata una frattura apparentemente insanabile tra le élite di pochi benestanti colti che vivono nei centri storici delle città e l’immensa periferia planetaria, umiliata e arrabbiata, che non sa, non può o non riesce a ragionare se non gridando il proprio NO. Il disagio e la rivolta sono assolutamente comprensibili, ma altrettanto chiara è l’incapacità di fornire proposte alternative. La seconda immagine che abbiamo sotto gli occhi è l’impressionante modestia delle classi dirigenti nel momento in cui la vastità e l’interconnessione delle problematiche generate dalla rivoluzione tecnologica richiederebbero carattere, intuizione, capacità di comprendere la realtà oltre le apparenze. Indietro non si torna. Se non vogliamo rischiare anni di terrore come quelli che seguirono alla Rivoluzione francese e uscirne con l’avvento di un uomo forte che ripristini l’ordine, le élite liberali ora alla gogna devono riconquistarsi la fiducia delle periferie risorgendo dai propri errori e inaugurando una stagione del “pensiero umile”, come ha sollecitato Stephen Hawking sul quotidiano inglese The Guardian. Occorre, però, fare chiarezza su che cosa si intende per élite. Se immaginiamo qualcosa di omogeneo – pochi “fortunati” impegnati a tutelare se non a moltiplicare la propria rendita di posizione – siamo fuori strada. Esiste un’élite di potere e di denaro e un’élite di pensiero e di solidarietà. La prima è quella che ci ha governato fino ad ora, ghettizzando l’altra in università, centri di ricerca, società civile a cui venivano sottratti finanziamenti e ambiti di manovra. All’élite di pensiero è stato solo concesso di esprimere i buoni sentimenti per mascherare la rapacità dell’élite economica. Così la periferia l’ha percepita come un tutt’uno e si è schierata contro chiunque esprimesse “idee buoniste”, immaginando ( spesso non a torto) che dietro si nascondesse l’ennesima fregatura. Se ci aspettiamo il bagno di umiltà dall’élite finanziaria, attenderemo invano: non è nella sua natura, ha come obiettivo l’accumulo personale e non teme i disordini perché crede di poter sempre trasferire il proprio benessere altrove. Sta all’altra élite, quella di pensiero, trovare il coraggio di uscire allo scoperto e di rinsaldarsi con la periferia ( di cui spesso economicamente fa parte), vincendo la comprensibile tentazione di evitare umiliazioni in un mondo sempre più aggressivo e volgare. È un percorso lungo e accidentato, ma necessario.
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