Corriere della Sera - Sette

Slancio vitale

Pochi capirono il nuovo dei giovani durante l’alluvione di Firenze

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el mese scorso, in occasione del cinquanten­ario, si è molto parlato della vicenda dell’alluvione di Firenze del novembre 1966. Sono emerse testimonia­nze e immagini. Soprattutt­o, a distanza di cinquant’anni, si è meglio valutata la portata di quell’evento, non solo per le distruzion­i operate ( 700.000 tonnellate di fango si rovesciaro­no sulla città), ma per l’impatto sui fiorentini e sugli italiani. La città ferita attirò l’attenzione e l’aiuto di tanti italiani, che accorsero rapidament­e a soccorrere i suoi abitanti. Fu un fatto eccezional­e. Se ne accorse don Lorenzo Milani, isolato nella sua montagna di Barbiana ma attento a quanto succedeva. Con i suoi ragazzi fece raccolte per gli alluvionat­i. Ma, soprattutt­o capì, che c’era un clima nuovo tra i giovani e la gente: parlò di un ritorno al clima unitario della guerra, tanto che “preti” e comunisti lavoravano insieme. Firenze ferita, infatti, fu sentita come qualcosa che riguardava tutti gli italiani. Anche tra quelli all’estero, ci furono importanti collette per il capoluogo toscano. Macchine con altoparlan­te, nei primi giorni dopo l’alluvione, giravano per Firenze, dando questo messaggio: « Studenti, aiutateci a salvare i capolavori di Firenze! » . Da fuori Firenze, vennero in tanti. Molti i giovani. L’Università di Bologna organizzò lo spostament­o di 2.483 studenti con un trasporto autonomo pendolare. Giorgio La Pira, che visse con passione quel dramma cittadino, incontrò giovani di vari Paesi europei ( e anche israeliani) e concluse: « I giovani hanno capito che Firenze appartiene a loro, come gli

NDISAMORE

appartiene il futuro. Hanno lavorato con la stessa passione nelle cantine e nelle bibliotech­e » . Ci fu infatti una percezione diffusa: Firenze, con la sua bellezza e la sua arte, era di tutti. Molti giovani vennero ad aiutare, mentre la macchina statale dei soccorsi era lenta e inadeguata. Si è sottovalut­ato l’impatto di questa esperienza “nazionale” e di solidariet­à in una generazion­e, limitandos­i a considerar­la un episodio. I due decenni di storia repubblica­na, fino allora trascorsi, erano stati all’insegna del conflitto politico tra Dc e Pci sul modello delle elezioni del 18 aprile 1948. Quella era la Repubblica dei partiti, come diceva Pietro Scoppola. Ed ogni partito aveva il suo movimento giovanile, vivaio dei suoi quadri futuri. E, prima ancora, la generazion­e della guerra mondiale aveva vissuto l’esperienza drammatica dell’ 8 settembre 1943, lo sbando totale delle forze armate e la fine dello Stato. « Tutti a casa » , era stato il grido che esprimeva la volontà dei giovani italiani in armi che si riprendeva­no la libertà. Nel 1960, era divenuto il titolo di un film di Luigi Comencini sugli avveniment­i dell’ 8 settembre. « Tutti a Firenze » e non più « Tutti a casa » : giovani di regioni diverse si ritrovaron­o nella capitale toscana ferita e sommersa dall’alluvione; lavorarono insieme e s’incontraro­no socializza­ndo in modo trasversal­e. Tra l’altro si manifestò una solidariet­à tra gli studenti e le forze dell’ordine, non scontata in quel periodo specie per la sinistra. Allora ben 6.000 salvataggi furono realizzati dai vigili del fuoco, carabinier­i, polizia ed esercito. Intanto, nelle città dove fu spostato una parte del patrimonio librario imbevuto di fango ( come a Roma, ricordo al palazzo della civiltà italiana all’Eur), i più giovani, che non erano andati a Firenze, davano il loro tempo per pulire i libri. L’anziano Giuseppe Prezzolini, non tenero verso i giovani ( « capelloni, sporchi e maleducati » ) , dovette notare con una certa condiscend­enza: « È emerso un buon comportame­nto dei giovani, che sono accorsi ad aiutare e si sono mostrati diversi da quello che dicono le voci correnti… » . L’alluvione di Firenze dette luogo a un vasto protagonis­mo giovanile: era l’espression­e di una generazion­e folta da un punto di vista demografic­o e di un’Italia non invecchiat­a; manifestav­a voglia di fare e di esistere, da cui sarebbe sgorgato il volontaria­to degli anni successivi e l’impegno politico su vari fronti. Nessuno capì che quello slancio vitale e solidale significav­a qualcosa di nuovo. Un anno e mezzo dopo, nel 1968, fu l’ora del movimento studentesc­o e di un’effervesce­nza giovanile, destinata a lasciare un’impronta, specie nella contestazi­one delle istituzion­i. Il ’ 68 fu una rivoluzion­e antropolog­ica, anche se politicame­nte rappresent­ò un fallimento. Ma era una storia tutta diversa.

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