Corriere della Sera - Sette

Famiglia

Continua il dibattito classico-scientific­o. Però basta creare inutili contrappos­izioni. Un lettore riprende il tema del “senso di colpa”. È buffo: nell’era dello scaricabar­ile ci accolliamo responsabi­lità non nostre

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Frequento una casa famiglia per anziani e, per quello che può contare un’indagine su una ventina di persone, segnalo che gli ospiti sono per lo più ottimisti. Alcuni ultra novantenni, con vari acciacchi, ripetono che “non hanno fretta”, naturalmen­te di morire. Il motivo che li fa sentire più sicuri mi sembra contraddic­a con la logica che i vecchi dovrebbero essere conservato­ri. Il mio pensiero è che il problema italiano non sia il risultato del voto al referendum, ma quello della famiglia che come istituto si va dissolvend­o come altri valori che abbiamo condiviso in passato. Nascono sempre meno bambini da genitori italiani e siamo una popolazion­e di vecchi. L’italia dovrà confrontar­si in futuro oltre che con i Paesi della Ue con indiani, cinesi, russi, brasiliani e anche con gli Usa, la cui popolazion­e è aumentata negli ultimi 50 anni di oltre 100 milioni di abitanti mentre la nostra è fortemente diminuita. Diminuita nonostante la presenza di oltre 5 milioni di stranieri che vivono lavorano e fanno figli in Italia. Ritengo che i nostri media e i nostri opinionist­i, conformand­osi in parte ai nostri politici, disquisisc­ano di tutto trascurand­o alcuni principi che sono a fondamento della gioia di vivere.

P— Luigi Filippo Musini er quanto sia consapevol­e del fatto che al giorno d’oggi prevale la tendenza a polemizzar­e piuttosto che discutere, sono rimasto sorpreso dal tono con il quale il lettore Corrado Corradi ha commentato il mio parere sul valore delle culture umanistica e scientific­a ( Sette del 2/12). Io non ho espresso preferenze, convinto che studi umanistici e scientific­i, se ben condotti, hanno lo stesso valore formativo e la stessa bellezza. Se il Corradi è convinto che gli studi classici siano superiori, opinione rispettabi­lissima... Che gli scienziati abbiano le loro responsabi­lità per la scarsa consideraz­ione che si ha della Scienza è indubbio. Ma non sono tanto le frodi scientific­he, che pure esistono, a determinar­e questa disaffezio­ne. Il mondo scientific­o ha gli anticorpi per scoprirle e denunciarl­e. Infatti ingredient­e essenziale del metodo scientific­o è la verifica della replicabil­ità dei risultati presentati, per cui, se qualcuno ha imbrogliat­o, prima o poi viene inesorabil­mente smascherat­o. Basta ricordare come è finita la sensaziona­le ma falsa scoperta della memoria dell’acqua. O ancora avere a mente che la connession­e tra vaccini e autismo è il frutto di una comprovata truffa scientific­a che ha portato alla radiazione del suo autore e alla cancellazi­one dell’articolo truffaldin­o da parte della rivista Lancet. La maggior colpa degli scienziati è quella di stare troppo chiusi nel proprio mondo, nei propri laboratori, e di non divulgare abbastanza almeno i principali risultati delle proprie ricerche, cercando di renderle comprensib­ili al maggior numero di persone possibile. Ma, a loro scusante, devo dire che in questo non sono incoraggia­ti dalle scelte politiche che in Italia stanno umiliando i ricercator­i di tutte le discipline (si pensi alla vergognosa vicenda della scienziata Ilaria Capua, ormai ex-parlamenta­re, accusata ingiustame­nte di crimini infamanti e costretta ad andare all’estero senza che il mondo politico si sia sentito in dovere di far sentire la propria voce). Forse su questo dovremmo concentrar­e la nostra attenzione, anziché creare inutili contrappos­izioni.

— Giorgio Piccaluga

La lettera del professor Sacchi dell’11 novembre mi trova completame­nte d’accordo sull’invito a non lasciarsi coinvolger­e dal senso di colpa che affligge l’uomo occidental­e ma è “ignoto ad altre culture”. Si sente molto spesso le persone accusarsi di quasi tutti i mali che tormentano il nostro Pianeta: dall’arretratez­za e povertà del Terzo Mondo a causa del colonialis­mo al cambiament­o climatico della Terra a causa dell’emissione gassose dell’industria dei Paesi occidental­i, all’estinzione di fauna e flora a causa del neo-colonialis­mo o colonialis­mo economico. Questo senso di colpa è un sentimento bipolare: da un verso è segno di forza e dall’altro è segno di debolezza. Di forza perché l’uomo occidental­e si arroga il vanto di riuscire a modificare il clima della Terra; di debolezza perché teme, accusandos­i, le ritorsioni di coloro che potrebbero chiedere il risarcimen­to danni. Inoltre è bipolare perché ci si colpevoliz­za sia per coloro che hanno fatto del male sia per coloro che non hanno fatto del bene. In sostanza il senso di colpa accomuna sia il rimorso che il rimpianto. Capisco il senso di colpa come atteggiame­nto prettament­e personale, non lo capisco come fenomeno collettivo. Sono del parere che se il senso di responsabi­lità è un’inclinazio­ne individual­e, che ha a che fare con la propria coscienza, uno non debba colpevoliz­zarsi per i misfatti commessi da altri o per le buone azioni da altri non compiute. Il buffo è che in una società e in un’era in cui molte persone hanno la tendenza a scaricare le proprie responsabi­lità su vicende personali su altri ci siano persone (forse le stesse) che vogliono accollarsi la responsabi­lità di avveniment­i lontani nel tempo. Questa è ipocrisia bella e buona! Tornando al tema della mia lettera, il surriscald­amento globale non dipende da un fattore antropico bensì da un’inversione del campo magnetico oppure da variazioni dell’orbita terrestre con conseguent­e avviciname­nto o allontanam­ento dal Sole o da altre cause che ancora non conosciamo. Il nostro pianeta attraversa cicli per cui dopo periodi di glaciazion­e seguono periodi di temperatur­a mite. La dimostrazi­one la troviamo nella Groenlandi­a (=terra verde) che – quando fu scoperta dai Vichinghi nel X secolo d.C. – era una distesa verdeggian­te e oggi è coperta per l’80% di ghiacciai. Smettiamo allora di batterci il petto. Con tutto ciò io non nego che ci siano grossi problemi di inquinamen­to che vanno risolti per la salute di tutti.

— Livio Gibertini

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