Aldo Grasso
Sono dipesi dai social? Proviamo a capire
Igiornali e il nostro modo di leggerli, la tv e il nostro modo di guardarla stanno attraversando un periodo di grande cambiamento. I totem dell’informazione mainstream che per molti anni hanno rappresentato il punto focale delle nostre giornate si stanno piano piano “smaterializzando” e ibridando con Internet. Per spiegare questo processo, si parla spesso di “convergenza mediale”. Nella nostra percezione, fino a qualche anno fa, ogni medium serviva a soddisfare una precisa funzione: la tv serviva a vedere, la radio a sentire, il telefono a parlare e così via. Poi le cose hanno iniziato a cambiare, sotto la spinta di un fenomeno che è in primo luogo tecnologico, quello della digitalizzazione dei media, che ha fatto sì che i diversi contenuti potessero viaggiare con più facilità attraverso diverse piattaforme e media. A seguito di questo primo “impulso tecnologico”, sono cambiati i modi di produrre contenuti mediali, i modi di distribuirli e, di conseguenza, anche il modo di consumarli da parte degli utenti. Il tradizionale lavoro dei broadcaster è in fase calante, l’arrivo dei top player della rete sta cambiando piattaforme, contenuti, modello di business. Se è vero che la tecnologia ha in qualche modo innescato questo cambiamento, è altrettanto vero che non dobbiamo darne una lettura ingenua: quello della convergenza mediale non è un fenomeno solo tecnologico, ma deve essere pensato in termini più complessi e “culturali”. L’importanza dei media nella società contemporanea li rende, infatti, non solo semplici strumenti, ma veri e propri ambienti in cui prende forma la nostra esperienza di vita quotidiana, anche emotiva. Pensiamo a come funzionano i social network, a Twitter, alle innovazioni introdotte da Facebook per rendere il suo social sempre più simile a un diario che racconta la storia della vita di ciascun utente. È così che il cambiamento in corso riguarda non solo la tecnologia, ma anche la “cultura” nel senso più ampio e antropologico della parola: un patrimonio di conoscenze, di nuove convenzioni sociali e di inedite espressioni di socialità. Un solo esempio. Un tempo, le discussioni avvenivano fra persone fisiche, oggi invece moltissime persone preferiscono discutere con altre seguendo il flusso dei social media. Stiamo assistendo a un passaggio dalla società della comunicazione, dove tutto il sistema produttivo industriale era in capo agli editori, ad una società della conversazione, che avviene su piattaforme esterne, come Twitter e Facebook, non controllate dalla filiera editoriale. E, di conseguenza, stiamo passando da una forma di “democrazia delle offerte” ( le proposte dei partiti che vengono dall’alto) a una “democrazia delle domande” ( richieste che fatalmente vengono dal basso). Eravamo convinti che la tv generalista avesse definitivamente traslocato la politica dai territori della società “reale” allo spazio mediatico, assegnandosi la gestione della sfera pubblica attraverso i suoi format, i suoi linguaggi. Adesso, invece, i politici cercano una comunicazione più diretta. È la politica dell’autorappresentazione nell’era dello storytelling. I giornalisti della carta stampata diffondono sfiducia ( sempre a parlare delle cose che non vanno, della cattiva poli- Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump con la moglie Melania e il loro figlio Barron.
tica), i talk show d’approfondimento sono infidi ( gente che urla e insulta), i telegiornali offrono poco spazio. Molto meglio i posti dov’è possibile fare narrazione e dove non c’è spazio alcuno per le contronarrazioni. In questo senso sta cambiando radicalmente il ruolo dell’informazione: alla tradizionale mediazione è preferibile la contiguità, più spiccia ed efficace. Ma è davvero così, il web ha soppiantato i tradizionali mezzi di comunicazione? La Brexit, l’elezione di Donald Trump e la vittoria dei No al referendum sono dipesi dai social? L’algoritmo dei motori di ricerca influenza le nostre ricerche, l’algotrading muove ogni ora milioni di dollari, ce n’è persino uno che ci suggerisce le scelte che dobbiamo fare nella vita quotidiana. Dun-