Inatteso Un anno (quasi) Il 2016 ha dimostrato che le opinioni pubbliche vogliono avere una parola nei nuovi equilibri dell’Occidente, ma chiamarla sorpresa non basta
Dei demagoghi, degli autocrati, dei populismi, del vivere pericolosamente: quando a un anno si cerca di dare un nome, una definizione, vuole dire che prende un suo posto nella Storia, che non è scivolato via senza carattere. È così per il 2016, come lo fu, l’ultima volta, per il 1989. Anno dell’inatteso: 12 mesi fa si guardava alla Brexit e alle elezioni americane come appuntamenti di routine, a basso contenuto di emozioni. E pochi dubitavano che Matteo Renzi sarebbe stato capo del governo italiano questo Natale. Ma parlare di sorprese per spiegare il 2016 non basta. E non dice niente del 2017. E di quello che nel mondo c’è in gioco. L’ordine internazionale si era già spezzato prima del 2016. La crisi della Pax Americana del dopoguerra, rafforzata e resa unipolare dalla caduta dell’impero sovietico, era già nelle cose. Forse segnata dall’attacco alle Torri Gemelle del 2001, segno del risveglio tumultuoso e violento dell’Islam politico. Certamente messa in discussione dalla nuova superpotenza economica cinese. E descritta nella sua analisi sul disordine globale da Henry Kissinger. Il 2016 ha segnalato che le opinioni pubbliche occidentali vogliono avere una parola nei nuovi equilibri che si andranno disegnando nei prossimi anni. Le loro classi dirigenti hanno in genere fallito. Soprattutto hanno tradito: in una globalizzazione che avrebbe dovuto essere il trionfo delle opportunità per tutti, del mercato in economia, della meritocrazia sul lavoro, della crescita del benessere diffuso, hanno creato oligarchie di potere e del privilegio. L’intreccio tra apparati dello Stato, burocrazie delle corporation, grandi banche, élite intellettuali ha creato una classe dirigente globale che dietro la retorica delle frontiere aperte ha in realtà alzato muri che hanno escluso gli altri. Il mercato non ha funzionato, la meritocrazia è spesso risultata di facciata, la ricchezza non è stata una marea che ha sollevato tutte le barche. Le élite globali, quelle di Davos per intenderci, hanno parlato da liberali aperti e benpensanti ma spesso hanno agito da oligarchie. Il politicamente corretto è diventato il loro manifesto, ma l’esclusione la loro pratica. Niente di preordinato, nessun comitato d’affari che l’abbia deciso in un salotto di New York o di Tokyo. È la dinamica degli interessi. Nella quale, però, nel 2016, sono entrati quelli di chi si è sentito escluso. Nella forma del populismo. Può non piacere. Ma a ben vedere non può essere una sorpresa. Le élite globali, quelle di Davos per intenderci, hanno parlato da liberali aperti e benpensanti ma spesso hanno agito da oligarchie. @ danilotaino