Genesi
Il regista sovietico, morto trent’anni fa, raccontato attraverso il suo successo più grande, espressione del pianosequenza
Trent’anni fa ieri, il 29 dicembre 1986, moriva a soli 49 anni, a Parigi, Andrej Tarkovskij: aveva scelto l’esilio e i suoi ultimi due film – Nostalghia ( 1980) e Sacrificio ( 1982) – li aveva girati in Italia e in Svezia, inseguendo quella libertà che in Urss gli era stata negata ( la perestrojka era di là da venire), ma smarrendo anche quel legame profondo con la sua terra che aveva innervato – e vivificato – le opere precedenti, cinque lungometraggi che hanno fatto versare fiumi di inchiostro e di censure. In anni di violento scontro politico e ideologico i suoi film, che dalla Politica volevano stare lontani, erano rimasti come stritolati nel braccio di ferro tra Est e Ovest, finendo spesso per essere letti in maniera molto distante dalle intenzioni del suo autore: il Leone d’oro attribuito a Venezia nel 1961 alla sua opera prima, L’infanzia di Ivan, scatenò le proteste della stampa comunista che accusò il regista sovietico di essere « fatalisticamente prigioniero della tragicità della Storia » ; la proiezione in concorso a Cannes, nel 1969, di Andrej Rubliov infiammò la reazione censoria in patria – dove pure avevano dato il permesso di portare il film sulla Croisette – accusando il regista di non rispettare le esigenze del popolo in fatto di arte; A destra, una scena di film del 1972 di Andrej Tarkovskij (in basso). Al regista sovietico, Marina Pellanda ha dedicato un libro (in alto la copertina). e la deriva sempre più indirizzata su se stesso, in forme che diventano apertamente autobiografiche in Lo specchio ( 1974) dopo che con Solaris ( 1972), aveva piegato la fantascienza a una riflessione sul ruolo del “sé” e il rifiuto dell’“altro”, lo condannarono definitivamente a un ostracismo e a una solitudine che trovò una rappresentazione appena velata dalla metafora in Stalker ( 1979). Tutte opere dal