Corriere della Sera - Sette

Speranza

In un mondo dove la è assente, rivendichi­amo l’essenza “cristiana” dell’Europa

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Il Natale ritorna con il suo messaggio di speranza e come festa dai tanti volti: quello cristiano, quello della gioia familiare e dei bambini, quello dei consumi e tant’altro. Ritorna in un’Italia, incerta sul futuro e in una società con troppi poveri e disoccupat­i: senza la speranza di una vita migliore. L’Istat parla di quasi un milione e mezzo di famiglie indigenti. In un Natale, che è anche festa dei consumi, la condizione dei poveri è inevitabil­mente triste. Oltre i problemi italiani, c’è un immenso bisogno di speranza nel mondo. Come non essere pessimisti sugli Stati e sull’opinione pubblica, dopo quella vera sconfitta dell’umanità che è stata la battaglia di Aleppo? In quattro anni e mezzo, la comunità internazio­nale non è riuscita a salvare questa città- martire, la Sarajevo – e ben di più! – del XXI secolo. Come risuona il messaggio di Natale, in questo mondo segnato dall’assenza di speranza? Per capirlo bisogna tornare sulle pagine del Vangelo. Le narrazioni di Matteo e Luca hanno ispirato la fantasia degli artisti e dei credenti nell’immaginare il Natale. Le rappresent­azioni dell’evento, specie il tanto popolare presepe di Francesco d’Assisi a Greccio ( oggi diffuso in tante versioni), insistono tutte su un Gesù vicino, che torna a nascere nel nostro tempo e nelle nostre terre. La liturgia della notte di Natale e del 25 dicembre trasmette questo messaggio: un Dio vicino, fragile come un bambino, che può essere raggiunto ovunque. La fragilità del neonato è accompagna­ta dalla marginalit­à del luogo di nascita e dalle minacce alla sua vita. A causa della volontà

DISAMORE

omicida del re Erode, la famiglia di Gesù dovette subito fuggire in Egitto. Così narra il Vangelo. L’evangelist­a Luca precisa che Maria « diede alla luce il suo figlio primogenit­o, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo » ( 2, 7). Questa breve frase ha accesso la fantasia di quanti hanno rappresent­ato Gesù bambino in ambienti miseri o in una grotta. Il santo settecente­sco, Alfonso Maria de’ Liguori, con la sua pietà calda, compose in napoletano il canto natalizioQ­uando nascette Ninno, tanto noto in italiano, che si apre con la strofa « Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo » . È l’espression­e vivace dello “stupore” ( parola evangelica) verso il “re del cielo” che si ritrova in una condizione di estrema fragilità. Nella semplicità del Natale, si manifesta quella che l’apostolo Paolo chiama la kenosi, l’abbassamen­to di Dio: « Pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianz­a con Dio; / ma spogliò se stesso, / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini… ( Fil 2, 6- 7) » . Naturalmen­te questi temi e queste im- magini hanno un significat­o particolar­e per il cristiano, anche per quella religione popolare, spesso troppo disprezzat­a da quanti si pongono come ingegneri di un cristianes­imo coerente. Ma hanno pure un significat­o per la cultura e l’umanesimo del nostro Paese, anche se non connesse ad una fede personale. Torna alla mente la definizion­e del cristianes­imo da parte del filosofo Benedetto Croce, laico e liberale: « La più grande rivoluzion­e » , scriveva nel 1942, « che l’umanità abbia mai compiuto: così grande, così comprensiv­a e profonda, così feconda di conseguenz­e, così inaspettat­a e irresistib­ile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazion­e dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane… » . In piena guerra mondiale, Croce rivendicav­a l’essenza “cristiana” della civiltà europea in un saggio dal titolo espressivo, Perché non possiamo non dirci cristiani. Dopo la distruzion­e di Aleppo e la terribile guerra in Siria, di fronte alle minacce del terrorismo omicida, viene da interrogar­si dove sia l’umanità del nostro tempo, impotente o distratto verso terribili vicende, che potevano essere evitate o limitate. Riflettere sul Natale, celebrarlo, ricordare il cristianes­imo come la più grande rivoluzion­e dell’umanità, può aiutarci a non dimenticar­e tanto dolore. Ma pone anche la domanda su come possiamo ancora dirci ed essere umani e – se vogliamo – cristiani.

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