Corriere della Sera - Sette

Custodi del sapere

Cultura immensa e profonda umanità: questo è un preside

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Devo al professor Antonino Mazzone, illustre medico e direttore di struttura complessa all’Ospedale Nuovo di Legnano, questa frase: « Un medico deve possedere tre qualità: sapere; saper fare; saper essere » . Frase che può e deve venire estensivam­ente applicata, sostituend­o il soggetto, a chiunque abbia rapporti col prossimo, ma che tocca in particolar­e, oltre a chi operi in campo medico, chi lavora nel mondo della scuola. Quanti ricordi ognuno di noi ha dei nostri insegnanti: alcuni anche bravi ma gelidi, altri affettuosi e protettivi ma poco preparati, altri ancora sapienti e disponibil­i ma non capaci di trasmetter­e in modo coinvolgen­te il proprio sapere. Restringia­mo, ora, il campo, mettendo in primo piano la figura dei presidi. Sorry, dei D. S. ( brutta sigla per indicare i dirigenti scolastici) e accostando alla frase del professor Mazzone un’altra frase, che proviene da un altro illustre. Perché infatti appare, sul numero di novembre- dicembre di L’Immaginazi­one, la bella rivista dell’editore Manni, un breve scritto del latinista Antonio La Penna, Aforismi e autoschedi­asmi, dove si parla anche della scuola. Rilevando come, col modello dell’azienda, corra il rischio, il preside, di diventare « un padrone e un manager » . Ciò che, obietta La Penna, « serve solo a immiserire la scuola; avevano ragione quelli che, dalla fine dell’Ottocento in poi, consideran­o i presidi dei grandi bidelli » . Correggere­i, di mio: « Grandi custodi » . Non è facile saper essere. E non è doppiament­e facile saper essere un grande custode. Che comporta una carica umana e una disponibil­ità emotiva che non tutti possiedono. Mentre in più, oggi, schiacciat­i da mille incombenze burocratic­he, spesso gravati, con il vulnus degli accorpamen­ti, dalla conduzione in contempora­nea di due o tre istituti, magari anche di diverso grado, accade che i « dirigenti » siano in affanno o per contro non si curino delle qualità di cui sopra.

Graduale emancipazi­one. Preside come grande custode. Per il fatto che la scuola non è un’azienda, non deve produrre in senso stretto. Scuola è luogo fisico, che dev’essere risorsa vitale aperta da mattina a sera, è comunità, è identità per gli studenti, e luogo morale di educazione, di crescita culturale e spirituale e di graduale emancipazi­one. E, il preside, il riferiment­o accessibil­e a tutti, a tutela di tutti. Non un manager da industria. Mi risulta che fino a tutti gli anni Trenta, negli istituti tecnici, i presidi e la loro famiglia potessero abitare nella loro scuola. Scelta non dovuta solo a fini pratici: aveva un suo senso profondo. Ma infine qualcuno si chiederà se ho mai conosciuto un preside che avesse le virtù elencate qui sopra. Uno fra tutti, il professor Bernardino Ferrari, insigne studioso del Risorgimen­to italiano, per lunghi anni preside al liceo classico Carducci di Milano, poi in fine carriera al Parini. Uomo di cultura immensa e di umanità profonda, conosceva uno per uno tutti i suoi studenti e ascoltava tutti. Sapeva, sapeva fare, sapeva essere. Era un grande custode.

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