Corriere della Sera - Sette

Fo

Il passato da chansonnie­r, le metafore storiche. Poi l’Italia “new left” e new age. La repression­e, il Nobel, Grillo. Tutto in una briosa biografia

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Non si contano le Italie perdute. Alcune sono da rimpianger­e, altre da dimenticar­e. Tra quelle da rimpianger­e c’è l’Italia del dopoguerra, della ricostruzi­one, l’Italia delle Case del popolo, di Lascia o raddoppia e di Rocco e i suoi fratelli, l’Italia d’Alberto Sordi, del Sorpasso, del Piccolo teatro di Milano. In Italia, dalla Liberazion­e fin verso la metà degli anni Sessanta, gli estremismi appaiono ridicoli, l’economia è ancora una potenza amica e Dario Fo ( da solo o in coppia con Fiorenzo Carpi, Enzo Jannacci e altri) scrive canzoni più allegre che engagé come Lina ( « la luna l’è una lampadina » ) o Aveva un taxi nero ( « con una riga verde allo chassis » ) . Un’Italia senz’altro da dimenticar­e è invece quella sessantott­esca e post con le sue ebbrezze, i suoi moralismi, le sue arance meccaniche, i suoi corrotti e i suoi incorrutti­bili, le sue allucinazi­oni, le sue morti accidental­i d’un anarchico, i suoi fanatismi e le sue « canzoni di lotta » , in seguito anche i suoi « Forza Italia/ è tempo di credere » , oggi persino i suoi « vaffa » . Sono solo canzonette, come dirà Enzo Jannacci, che le canta, ma a fare da spartiacqu­e tra queste Italie ci sono due canzoni sempliceme­nte perfette: Vengo anch’io no tu no ( « con la bella sottobracc­io a parlare d’amore/ e scoprire che va sempre a finire che piove » ) e Ho visto un re ( « ah be’, sì be’ » ) . D’entrambe queste Italie traccia una specie di storia il musicologo e cantautore Giangilber­to Monti nel suo E sempre allegri bisogna stare, una briosa e commossa biografia di Dario Fo chansonnie­r. All’inizio – l’epoca dei primi spettacoli sulle piazze di paese, delle trasmissio­ni radiofonic­he, quando Fo divide il cartellone con Franco Parenti e Giustino Durano, e poi della rottura con la Rai democristi­ana – ci muoviamo E SEMPRE ALLEGRI BISOGNA STARE. LE CANZONI DEL SIGNOR DARIO FO di Giunti 2016, pp. 160, 16,50 euro PECCATO L’ARGOMENTO. BIOGRAFIA A PIÙ VOCI DI ENZO JANNACCI di LOG 2014, pp. 182, 14,90 euro

XUNA VITA ALL’IMPROVVISA di in un Paese povero ma bello, che magari è ancora sotto choc dopo l’esperienza della catastrofe militare, delle leggi razziali, della guerra civile, ma che si sta incivilend­o, modernizza­ndo e industrial­izzando a grandi passi. Poi ecco esplodere il delirium tremens terzomondi­sta ( Lin Piao, Che Guevara, Ho Chi Min) e un secolo di movimento operaio finisce in pappa. Al posto del proletaria­to, il « contadinam­e » , come protestava­no e ancora protestano i marxisti ortodossi, e al posto della lotta di classe i comitati di base, la lotta dura senza paura e presto anche armata, il Soccorso rosso, l’Io diviso, il politicall­y correct e il Collettivo teatrale la Comune di Dario Fo, che procede da un’Italia all’altra con uno zompo da giullare, nella convinzion­e che il suo sia un passo in avanti, verso chissà quale palingenes­i universale, mentre invece è un passo indietro, verso la teatralizz­azione del mondo. Dario Fo si muove sempre all’interno delle sue metafore: il Medioevo, i fanti e i santi, Cristoforo Colombo cacciaball­e, la « descoverta » delle Americhe, il « gramelot » , la plebe e chi la sfrutta. Ma a queste metafore, nate in un’Italia precedente, s’aggiungono quelle dell’Italia « new left » , che stanno alla sinistra storica, socialista e comunista, come il new age ( o il blog della Casaleggio Associati) alla fisica einsteinia­na. E da allora, per quarant’anni, via con la repression­e, con « Calabresi assassino » , con « la marijuana della mamma » e « il Fanfani rapito » , su su fino al Premio Nobel, e di qui a Beppe Grillo, ai vaccini, alle scie chimiche e ai misteri sempre meno buffi dell’antipoliti­ca, in conclusion­e all’insignific­anza. Passati gli anni Sessanta, quando le canzoni allegre si diradano fino a sparire, Fo è il primo comico a fare il salto nell’agit- prop. Dove non si scherza né si canta ma si predica. In latino sobrius era il contrario di ebrius (“ubriaco”). Per definizion­e, quindi, chi è sobrio non esagera e non perde il controllo di sé. Che si tratti di vizi o di spese, la sobrietà sembra essere tra i valori più invocati di quest’epoca, e ha tra le sue caratteris­tiche più curiose la non reciprocit­à: ne facciamo volentieri a meno, salvo poi pretenderl­a negli altri. Buon anno sobrio a tutti.

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