Voucher
Uno dei punti di forza della rivoluzione renziana del lavoro non convince più. La morale della favola è sempre la stessa: più vincoli si mettono, più trionfa il lavoro nero
Il voucher, nonostante il nome ( deriva dall’inglese to vouch “garantire, attestare”, risalente al latino vocare “chiamare a testimonio”), è una storia tutta italiana. Il meccanismo è sempre il solito. Prima fase: si trova un rimedio per sconfiggere il lavoro nero e per non incorrere nelle multe dell’Ispettorato del lavoro. Tutti siamo contenti. Faccio un esempio: vado ad aiutare un amico a vendemmiare, come ho sempre fatto in gioventù. Arrivano i carabinieri o gli ispettori del lavoro e mi contestano l’irregolarità. Non ho un contratto di lavoro, in qualsivoglia forma. L’amicizia non è una scusante. Stesso discorso per studenti, insegnanti e pensionati trovati a fare lavori saltuari: ripetizioni scolastiche, servizi di ristorazione, prestazioni stagionali in agricoltura… I voucher, o buoni lavoro, vengono acquistati dal datore di lavoro ( si possono comprare anche in tabaccheria) che poi li consegna al lavoratore. Oggi il taglio più piccolo vale 10 euro e corrisponde a un compenso netto per il lavoratore di 7,5 euro. Il resto viene incassato dall’Inail e dall’Inps, che in cambio forniscono una copertura contributiva e assicurativa. Ogni anno, la cifra massima che è possibile guadagnare tramite voucher corrisponde a 7 mila euro netti a persona. Seconda fase: si abusa del rimedio, fatalmente. E la panacea si trasforma in danno per la comunità: la prestazione occasionale da eccezione diventa regola. Non basta che, dallo scorso settembre, il datore di lavoro sia tenuto a comunicare non soltanto il nome del lavoratore e il giorno in cui sarà svolto il lavoro, ma anche l’orario di inizio e quello di fine dell’attività. Ci vuole qualcosa di più. Il governo è ora pronto a una stretta sui voucher, i nostri cari ticket nati per pagare i lavoretti “accessori” e per permettere all’economia sommersa di emergere.
Così, il voucher, uno dei punti di forza della rivoluzione renziana del lavoro, non convince più. Bisogna frenare l’abuso, aumentare controlli e sanzioni. I dati, in effetti, sembrano dare ragione a chi mette in dubbio l’efficacia del voucher. I numeri dell’Osservatorio sul precariato parlano chiaro: nel 2016 le assunzioni a tempo indeterminato sono crollate, i disoccupati sono rimasti a quota tre milioni mentre i buoni lavoro sono cresciuti con percentuali a due cifre arrivando al record dei 121 milioni venduti da gennaio a ottobre. Terza fase: tutto diventa politica. Un referendum per cancellare i voucher. Un altro per tornare all’articolo 18 nelle aziende sopra i 5 dipendenti. Un altro ancora per garantire che le imprese subappaltatrici paghino i contributi ai loro dipendenti. Sono i tre quesiti presentati dalla Cgil per dare l’assalto anche al Jobs Act, una delle riforme cardine del governo Renzi. Perché tutto ritorni come prima. Morale della favola: più vincoli si mettono, più trionfa il lavoro nero. Questo è sicuro. Il voucher è stato fortemente voluto dal governo di Matteo Renzi (nella foto).