Renato Franco
«Ho dato del “patetico” al mito Modugno e ho tradito per vanità Gino Paoli...». Aneddoti, liti e segreti: a 70 anni esatti, un critico di carattere ha deciso di vuotare il sacco
Le ggendo queste pagine mi sono reso conto che, insieme al caratteraccio, Fegiz ha anche un cuore, un’anima e perfino una certa competenza musicale » . Parola di Pippo Baudo che firma la prefazione dell’autobiografia di Mario Luzzatto Fegiz. Già da queste parole in cui stilla qualche goccia di ironico veleno e che non sono esattamente un santino emerge la cifra di Troppe zeta nel cognome ( Hoepli) che uscirà il giorno del settantesimo compleanno dell’autore, il 12 gennaio 2017. Senza fare sconti a nessuno, soprattutto a se stesso, Troppe zeta nel cognome non è un’auto- agiografia perché nel racconto dei suoi primi 45 anni da critico musicale per la Rai e per il Corriere della Sera Fegiz non si nasconde: ammette errori e debolezze ( « ero un giovane ambizioso e presuntuoso » ) mantenendo però sempre costante il filo narrativo di una vita fatta di musica e incontri, programmi e recensioni, buchi e scoop, leggende del pop e astri del rock. « Sono il giornalista musicale icona. Non il più bravo, certamente il più noto » , dice di se stesso con quel gusto spaccone da giocatore di poker e allo stesso tempo quell’ icasticità capace di sintetizzare in una frase che rimane scolpita un personaggio, un momento, una situazione, un disco, un concerto. Che poi è quello che fa da una vita. Partito da Trieste dove « perdevo molto tempo con la politica, sempre con i liberali, e a giocare a flipper » , approdato a Roma e iscritto a Giurisprudenza « con discreti risultati e scarso interesse » , la sua è una vita fortunata, da tutto e subito, in tempi in cui