Severino Salvemini
A 20 anni dal successo dell’album il compositore amato dal grande pubblico e criticato dai colleghi si prepara a una grande tournée mondiale
Il modo giusto di ascoltare la musica di Ludovico Einaudi è quello di ascoltarla e basta, gustarla in modo semplice, senza dietrologie. Se ci si fa una domanda sulla tecnica e sulla complessità delle melodie, non se ne esce più, perché il segreto del suo successo è difficile da inquadrare. E ogni nota, in bilico tra seriosità della classica e effervescenza del pop, restituisce l’avventura di un pensiero complesso. Stiamo parlando del 61enne torinese nipote di Luigi Einaudi, economista banchiere e secondo presidente della Repubblica, e figlio di Giulio Einaudi, fondatore della casa editrice degli “Struzzi”, forse quella che più ha nutrito la classe dirigente dell’Italia del Novecento. Per anni Ludovico ha risposto alla classica domanda (“Einaudi, parente?”), perché quel cognome sulla scena artistica e intellettuale è alquanto ingombrante. Oggi Einaudi è un fenomeno di popolarità che varca i confini nazionali. Anzi, è più popolare all’estero che da noi. Ma ha aspettato come musicista e compositore molti anni prima di raggiungere la svolta della carriera, che non arrivava mai, fino a quando si è definitivamente staccato dalla musica colta di avanguardia ( capitanata allora da Luciano Berio, suo mentore e con cui ha composto alcuni brani) e ha scelto di dedicarsi alla formula del piano solo. Una musica che fugge i generi e le etichette convenzionali e intreccia trasversalmente