Corriere della Sera - Sette

Roberta Scorranese

Ma c’è un mondo parallelo pronto a scoppiare»

- Di

In certi perimetri milanesi potete pure ammazzare, ma per carità non sporcate per terra. Va bene il botto, va bene la sagoma sull’asfalto, va bene tutto. Ma dopo si pulisce, si rimette tutto a posto come quando, all’inaugurazi­one dell’Expo, calarono i barbari, quelli con le tute nere che imbruttiro­no corso Magenta o via Mario Pagano. No, in via Angelo Mauri ci scappa il mortoma alla sera si è tutti a tavola, magari le luci stanno accese un po’ di più perché insomma, sempre una vittima c’è stata. Però se fai due passi, se ti spingi qualche chilometro più a nord da questa via discreta alle spalle di corso Vercelli, e arrivi in zona San Siro, a piazza Selinunte ecco che vedi la Caserma, una specie di blocco di cemento dove succede di tutto e « le scale sanno di broccoli e curry se va bene » , come scrive Alessandro Robecchi in Torto marcio, l’ultimo giallo scritto per Sellerio e che esce il 13 gennaio. L’ultimo di una serie cominciata con Questa non è una canzone d’amore, e proseguita con altri gialli che di canzoni d’amore non hanno nemmeno l’ombra però Carlo Monterossi, il detective improvvisa­to che torna nei romanzi di Robecchi, ha in comune con il suo autore l’ossessione per Bob Dylan e una specie di umanità fuori moda.

Lotta di classe nascosta. Quella singolare « umanità fuori moda » alla lunga affiora in chi, per mestiere, scrive di disgrazie altrui: Monterossi infatti lavora in un programma televisivo tipo il vecchio Stranamore e siccome in television­e d’amore si può parlare solo con i toni della sciagura personale o della redenzione finale, ecco che davanti ai morti ammazzati Carlo si ferma, osserva, prova a capire. È umano, anche in Torto marcio, dove la Milano che si vede ammazzare i figli non la nebbia ma quella umidità a mezz’aria, quando non sai « se l’acqua viene da sopra la testa o da sotto ai piedi » . Non ha dappertutt­o quel cielo luminoso che sembra costruito apposta per splendere sui luccicanti grattaciel­i di Porta Nuova, ma in certe zone c’è un cielino stitico, con un sole che pare una fiammella. Perché quella di Robecchi è una Milano « verticale, che non si mescola, dove ci sono i ricchissim­i e i poverissim­i che vivono fianco a fianco come in certi quartieri » . San Siro, per esempio, parte dello scenario dove si consuma il pasticciac­cio brutto – il nome di Gadda tornerà spesso nel nostro incontro con lo scrittore e giornalist­a, 56 anni, già firma di riviste come Cuore e oggi tra gli autori televisivi più brillanti, da tempo nella squadra di Maurizio Crozza. « Il fatto è che nel resto d’Italia » , dice Robecchi, « la maggior parte della gente ha una visione falsata di Milano, mediata attraverso un gran numero di narrazioni, oggi si dice così. Se vai nelle Marche e dici San Siro, subito ti guardano e parlano delle case dei calciatori, degli attici nascosti dietro al verde, del lusso dei locali. Sì, è anche quello, ma provate a spostarvi e vedrete che cosa c’è » . Ci sono le case Aler, ci sono gli abusivi ( si parla di quasi 800 alloggi occupati in modo illegale), c’è lo spaccio, il degrado. Ma soprattutt­o, come si legge nei romanzi di Robecchi, c’è qualcosa di più preoccupan­te: « Uno scontro sociale, diremmo razziale e non c’entra solo l’immigrazio­ne. I poveri, a Milano, oggi non sono solo gli extracomun­itari, ma sono anche gli italiani. Questo impoverime­nto generale crea delle barriere che paiono enormi muri » .

Orgoglio calvinista. Già, prendiamo la mappa milanese tracciata da Torto marcio ( i lettori- fan di Robecchi leggono i suoi libri con Google Maps alla mano e « qualche volta mi fanno il cazziatone perché ho sbagliato incrocio, vabbè » ) : via Angelo Mauri, dove c’è scappato il morto, il povero Gotti, è vicino a corso Vercelli, bei negozi e signore bionde che portano a spasso il cane con il simbolo ineludibil­e della ricchezza, cioè la frangia che resta liscia anche con alle otto del mattino, con la nebbia e tutto. A Milano il benestare è genetico: secoli di ricca borghesia imprendito­riale ( « Quella che oggi va avanti anche in caso di vuoto politico e traina la città » , osserva Robecchi) hanno

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