Non parallele
H.G. Wells scriveva di fantascienza come Orwell ma vedeva la realtà in modo diverso. E il suo viaggio in Russia (ora tradotto) lo dimostra
Wells si porta il futuro appeso al collo come una macina da mulino » , scrisse George Orwell, che a sua volta sentiva incombere il futuro come un’ombra cannibale, sul punto di divorare la storia. Entrambi socialisti, entrambi brillanti e visionari, Orwell e Wells scrivevano storie di fantascienza e distopie, cioè viaggi straordinari nei peggiori dei mondi possibili. Con una differenza: pessimista masempliciotto, l’autore della Guerra dei mondi aveva fiducia nell’economia pianificata sovietica e persino un po’ nel controllo statale dell’industria sotto il Führer, mentre l’autore della Fattoria degli animali e d’Omaggio alla Catalogna pensava che proprio il dispotismo bolscevico e nazista ( e in generale il disumanesimo politico) stessero preparando all’umanità un futuro da incubo. Orwell, che fu sempre un socialista disallineato, non sarebbe mai stato accolto con tutti gli onori in Unione sovietica, come capitò a Wells nel 1920 e nel 1934, né sarebbe mai stato autorizzato a intervistare Lenin e Stalin, come capitò sempre a Wells. Non stravedevano l’uno per l’altro. Una volta Wells diede dello « “stronzo”, tra le altre cose » a Orwell che lo accusava ( giustamente) di « sottovalutare Hitler » ( nel 41). Al suo primo viaggio in Urss e al suo incontro con Lenin l’inventore della fantascienza moderna dedicò un reportage bello e singolare, Russia nell’ombra, ora finalmente tradotto in italiano dalla Nuova Editrice Berti di Parma, che in appendice al libro pubblica anche l’intervista a Stalin apparsa sul New Statesman nell’ottobre del 34. Wells, che non conosce la modestia, parla da pari a pari con i capibastone della rivoluzione russa. Ironizza su Lenin, « una persona
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RUSSIA NELL’OMBRA di Nuova Editrice Berti 2016, pp. 160, 17,00 euro. LETTERATURA PALESTRA DI LIBERTÀ minuta seduta a un’enorme scrivania » , mentre a Stalin spiega d’essere più « a sinistra » di lui. Come buona parte dell’intellighenzia dell’epoca, esclusi Orwell e pochi altri, anche Wells disdegna la realtà, alla quale preferisce la versione bolscevica degli eventi. Se la prende coi contadini, buoni solo a « opporre resistenza ogni volta che le Guardie rosse pretendono d’acquistare i loro prodotti alimentari a quota fissa. Questi incidenti, celebrati dalla stampa londinese come insurrezioni antibolsceviche, sono tutt’altra cosa: contadini che fanno i loro comodi e alzano la voce contro il regime » . Esalta il terrorismo, le cui organizzazioni stroncano « ogni opposizione » . Vero, ammette, che « molte delle azioni intraprese dal Terrore rosso sono spaventosamente crudeli. Eppure, malgrado le atrocità commesse da certi suoi esponenti fuori controllo, il Terrore rosso uccide sempre per un motivo o per un fine » . « Non è il comunismo » , conclude, « a tormentare questa Russia sofferente: il creditore francese vendicativo, il balordo giornalista britannico sono molto più responsabili di qualsiasi comunista » . Nella Russia bolscevica Wells si sforzò di non riconoscere una storia di fantascienza distopica realizzata, simile a quelle che gli eroi dei suoi romanzi visitavano viaggiando con La macchina del tempo fino all’anno 802.701, dove le divisioni di classe erano divergenze genetiche, o naufragando sull’Isola del dottor Moreau, dove le belve prendevano sembianze umane. Magari sbagliò a giudicare, ma come Orwell fu innanzitutto un gentleman e un moralista. Come l’autore di 1984, Wells sapeva che la frase fatta « se gli esseri umani si comportassero bene, il mondo sarebbe un posto migliore » non è la banalità che può sembrare. In latino il verbo significare (composto da signum e facere) indicava l’azione di fare dei segni attraverso cui veicolare dei contenuti. Il significato, quindi, è ciò che viene espresso attraverso il segno. Una parola fondamentale per il genere umano, che sull’attività del significare ha costruito le sue civiltà; una parola cara a Tullio De Mauro, che ha speso una vita a spiegarci la lingua, le lingue, l’italiano, noi stessi. Un’eredità imponente di scritti, gesti e pensieri di cui non saremo mai abbastanza grati.