Corriere della Sera - Sette

Smascherò

In mostra il progetto integrale di Robert Frank: 83 foto, scattate negli Anni 50 in 48 States, che incrinaron­o il mito dell’ottimismo

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Lo straordina­rio insuccesso si capovolge on the road. Nel 1955 lo svizzero Robert Frank, approdato a New York dopo la guerra, intraprend­e un viaggio leggendari­o che lo porta in 48 Stati americani su una Ford di seconda mano che aveva chiamato Luce. « Fu la mia unica relazione con il signor Henry Luce » , dirà più tardi. Infatti, il patron della rivista Life, il sogno proibito dei fotografi dell’epoca, in linea con la cultura dominante amava le fotografie nitide, con una narrazione chiara, una morale intelligib­ile possibilme­nte ottimista. I 27.000 scatti che Frank aveva riportato dalla sua odissea, ridotti poi a 83 da un editing rigoroso dell’autore, erano sfumati, imprecisi, elusivi, asimmetric­i e nel complesso smascherav­ano la società di Happy Days: mostravano il divario tra bianchi e neri, giovani e anziani, opulenza e desolazion­e. L’America non si riconobbe e lo punì. Nessun editore si fece avanti e il libro Les Américains vide per la prima volta la luce in Francia ( 1958) grazie a Robert Delpire, un anno prima che Grove Press, l’intrepido editore dei rinnegati, pubblicass­e The Americans con la prefazione di Jack Kerouac, il campione della generazion­e che ripudiava i valori dei padri. Minor White sulla rivista Aperture definì il lavoro un insulto alla nazione, e altri esegeti lo intesero come il ritratto sociale di un uomo senza gioia, per giunta ingrato verso il Paese d’adozione. Il libro vendette poco più di 1000 copie e l’agenzia Magnum non accolse l’autore tra i suoi adepti. L’impresa nata sotto la buona stella di Walker Evans e con il patrocinio del Guggenheim Fellowship si era schiantata contro l’American way of life. Le fotografie di Frank erano in armonia con la poesia beatnik, il bebop jazz, l’Espression­ismo astratto, il cinema d’avanguardi­a… Il suo spirito trovava conforto e nutrimento nel contagio con Edward Hopper, Willem de Kooning, Ed Ruscha, Allen Ginsberg, Gregory Corso... Come era già successo a Melville, l’epopea Sopra, Ranch market, Hollywood; sotto, comizio politico, Chicago (1955-1956). La mostra che porta in Italia la selezione integrale de di Robert Frank è aperta fino al 19 febbraio 2017 presso la galleria Forma Meravigli a Milano. Nel catalogo edito da Contrasto, la prefazione che Jack Kerouac scrisse nel 1959. di Frank, e delle 10.000 miglia percorse pericolosa­mente ( fu anche arrestato per il sospetto che fosse comunista), crebbe di statura sino a diventare una sorta di Moby Dick, un classico che meritava un posto sugli scaffali della Storia. Nella società più consapevol­e degli Anni Sessanta ( il Civil Rights Act è del 1964), i contorni sfumati delle sue fotografie e i grigi che confluivan­o l’uno nell’altro non sembravano più uno squallido affronto a un sistema perfetto. Tuttavia Frank lasciò la fotografia. Non voleva ripetersi, era troppo facile, disse, e scelse il cinema. Tra i suoi film Pull Me Daisy, sulla Beat Generation, e Cocksucker Blues ( mi si risparmi la traduzione), un documentar­io sui Rolling Stones che l’avvocato del gruppo non autorizzò. Ancora oggi ( Frank ha 92 anni) le note più appassiona­te riferite a The Americans rimangono le parole di Jack Kerouac che assentì alla prefazione quando il fotografo era ancora un reietto: « Chi non ama queste immagini, non ama la poesia, capito? Se non ami la poesia, va a casa e guarda la Tv con i cowboy col cappello da cowboy e i poveri cavalli gentili che li sopportano » .

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Due leggende
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