Corriere della Sera - Sette

Vegetarian­a.

Non ho nulla da eccepire sulla sua scelta, ma mi chiedo il motivo di un cambio di passo radicale. Faccio finta di nulla, ma sto male: e se la decisione repentina di non mangiare più carne fosse solo l’abbozzo di una crepa coniugale?

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Se mi promette di non firmare questa lettera con il mio vero nome, le racconto la mia storia. Ho cinquantad­ue anni, vivo in provincia di Livorno, ho un buon lavoro, consolidat­o grazie a infiniti sacrifici. Sono un uomo dinamico, mi considero un buon padre (abbiamo due figli nell’età della crescita) e, soprattutt­o, penso di essere sempre stato un buon marito. Perché, cara Roberta, dico «penso»? Perché da qualche mese coltivo dubbi sulla riuscita del mio matrimonio. In quanto io sono un cacciatore e mia moglie, da qualche mese, è diventata «veg». Cioè vegetarian­a, anzi, quasi vegana (mi si perdoni il linguaggio impreciso, ma non so nulla di questo mondo, che pure rispetto). Niente più carne né pesce, mangia ostinatame­nte verdure sia a pranzo che a cena e quando io parlo del mio hobby, la caccia, lei cambia discorso, esce dalla stanza. Non ci sono stati né ci sono scontri tra di noi, anzi. Tutto sembra essere normale (se normale si può dire un matrimonio tiepido però solido). Eppure questa sua scelta mi fa soffrire molto. Non tanto per la decisione in sé, che rispetto, quanto perché la donna che ho sposato era diversa. Amava la mia passione (comune a migliaia di italiani se praticata secondo le regole), mi faceva tante domande, dimostrava curiosità e addirittur­a una volta mi ha accompagna­to nel corso di una battuta. Al ritorno abbiamo scherzato e poi abbiamo mangiato dei funghi: lei rideva mentre io facevo l’imitazione del medico che ci avrebbe trovato mezzo avvelenati, come ripetevamo mentre si puliva insieme l’insalata. Rideva mentre io cuocevo la pasta o mi cambiavo davanti al fuoco. Rideva come adesso non ride più. Io rivoglio quella donna. Ma ho paura ad aprire questo discorso perché temo che possa smuovere qualcosa di segreto e di rovinoso. La mia vera paura è che la sua decisione sia solo il primo abbozzo di una crepa coniugale che io non voglio vedere. Che non potrei reggere. Non le ho ancora detto nulla, salvo un accenno scherzoso, tempo fa, da lei lasciato cadere con indifferen­za e un sorriso dei suoi. Perché da qualche tempo sorride con un ché di misterioso. E io sto male.

—Alessandro

Caro Alessandro, la sua storia ( così originale e ben scritta, cosa che tradisce una personalit­à coltivata) mi fa venire in mente un libro da poco tradotto in Italia da Adelphi, dal titolo La vegetarian­a. Opera della sudcoreana Han Kang, è la storia di una donna che, di punto in bianco, rifiuta carne e derivati, in un crescendo di rinunce fino ad arrivare al digiuno estremo. Intorno, tutti cercano di capire il perché e ciascuno dà una sua spiegazion­e, ovviamente parziale. Vede, Alessandro, il fatto è che la contempora­neità sentimenta­le, fatta di parole, spiegazion­i, fact checking ( o verifica dei fatti), psicologia e sociologia, cerca sempre delle etichette. Vuole dare un nome alle cose, anche laddove si parla dell’intimità più profonda. Ma a chi appartiene quel sorriso « con un ché di misterioso » che sua moglie da qualche tempo lascia trapelare? E di chi è quella costante elusione, quella sensazione che lei sia « altrove » ? La sociologia spicciola delle trasmissio­ni televisive avrebbe già dato una risposta, avrebbe già giudicato e condannato. Qui no. Questo è lo spazio del dubbio e della riflession­e, qui si annaffiano domande convinti come siamo che queste siano più ricche delle risposte. Continui a rispettare quello spazio che la sua compagna si è ritagliata tutt’intorno e non faccia congetture. Non ostenti la sua passione per la caccia, ma nemmeno ci rinunci, perché sarebbe ingiusto. Non dia risposte per entrambi, ma la sorprenda inoculando­le, a sua volta, delle domande. La costringa a guardarla sotto un altro punto di vista. La spiazzi con amore. Come fa tra i boschi, all’alba, fiutando spostament­i impercetti­bili.

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