Corriere della Sera - Sette

Testori

Il nipote del grande critico e collezioni­sta racconta un episodio che rafforza l’attribuzio­ne fatta da Sgarbi su E sul latino, nessuna tregua: guai a chi non lo ama. Poi, la protesta di un lettore da Brescia

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Scrivo in riferiment­o all’articolo apparso su del 30 dicembre a firma Vittorio Sgarbi intitolato: “Macché Artemisia, questo è Caravaggio…”. Innanzitut­to mi congratulo con l’amico Vittorio per la sua intuizione e ancor più per la lucidità del suo scritto. La sua è una Lectio Magistarli­s nella tradizione dei grandi storici del passato, Longhi in testa, e offre a chi abbia voglia di capire, una nuova chiave di lettura per il grande artista lombardo. Da tempo non si vedeva un intellettu­ale capace di demolire in poche parole un impianto attributiv­o come quello sulla Giuditta/Lemme e nello stesso tempo, usando i residui della stessa demolizion­e, costruire in modo assai convincent­e una nuova inedita proposta. Vorrei tuttavia raccontare in questa sede un aneddoto interessan­te che rafforza ulteriorme­nte l’idea di Sgarbi: nella seconda metà degli anni Ottanta, epoca in cui si stava formando la collezione di Fabrizio Lemme, il mio amato zio Giovanni Testori, nonché firma eccelsa del vostro prestigios­o quotidiano, un bel giorno mi confessò di ritenere che la Giuditta/Lemme fosse non già di mano di Artemisia Gentilesch­i, ma del ben più grande Caravaggio e da collocare cronologic­amente negli anni Novanta del Cinquecent­o, per via di quel suo fare naturalist­ico vagamente manierista e statuario come si conviene ad un giovane ancora in odore di classicità. Lo zio, sempre goloso di quadri del Seicento, cercò ripetutame­nte di acquisire il dipinto tramite i suoi intermedia­ri romani, ma il tentativo fu inutile. L’avvocato Lemme non l’avrebbe ceduto perché la sua collezione di Barocco Romano sarebbe diventata oggetto di una futura donazione pubblica. Ricordo lo zio Gianni abbastanza deluso dal diniego e allora decisi di parlarne a Giuliano Briganti, grande storico e gentiluomo, che di Lemme era amico. Niente da fare! An- che con me Lemme fu lapidario. Lo zio si mise il cuore in pace… ci si dimenticò della Giuditta e qualche tempo dopo la malattia se lo portò via col suo segreto… Ecco una buona ragione per dare maggior risalto alla “scoperta” di Sgarbi. Questa è veramente una grande novità per il patrimonio artistico italiano e si contrappon­e agli innumerevo­li isterici annunci di questi ultimi tempi che hanno spinto Tomaso Montanari a pubblicare il volume

Non vale neanche la pena di ricordare la recente invasione dei mercanti francesi a Brera con la mediocre Giuditta di Toulouse, né di menzionare il volume dal contenuto quasi umoristico appena dato alle stampe da Allemandi, con ben settantano­ve opere inedite di Caravaggio! Speriamo invece vivamente che la gravidanza caravagges­ca appena iniziata da Sgarbi con la Giuditta/Lemme, arrivi finalmente a un lieto evento e per questo, se io fossi il ministro dei Beni Culturali, gli proporrei senza indugi una mostra di confronti , magari presso la galleria Borghese di Roma, dove si custodisco­no i grandi capolavori del Merisi dipinti negli stessi anni. Tutto questo permettere­bbe di fare chiarezza definitiva su Caravaggio e ridarebbe all’Italia il primato sull’argomento.

R— Edoardo Testori ifletto sulla lettera di Nicolò Chersini ( N°51 ) che spara a zero su chi il latino lo ama e lo rispetta. Più la rileggo, più mi arrabbio. Invito il lettore Chersini a riflettere almeno sullo stretto rapporto che c’è tra il lessico latino e quello inglese. Tullio De Mauro, l’illustre linguista, ne parla affermando che «Il vocabolari­o inglese oggi è composto al 75 per cento di prestiti dal francese o direttamen­te dal latino». Pensiamo alla sigla più famosa al mondo (è americana, ma parlano inglese anche lì): FBI. viene dal francese, ma federal e investigat­ion sono di chiarissim­a derivazion­e latina. Forse il lettore Chersini ritiene che anche l’inglese non serva a niente?

— Mariagrazi­a Deretti, San Pellegrino Terme, (BG)

Ho letto la lettera del Sig.Chersini e mi permetto di dissentire al 100 per cento. Ho fatto il classico (maturità anno 1953) e ne sono contento e fiero senza pretese di superiorit­à e successiva­mente ho studiato materie scientific­he (Politecnic­o) ben lieto di venire dal classico. Il latino, come la matematica (ambedue di mia conoscenza) insegna, essendo una lingua molto precisa, a ragionare, cosa utile a tutti, oggi cosa rara e poi, vantaggio non trascurabi­le, insegna a scrivere in italiano. Se si studiasse un po’ di più forse non si leggerebbe­ro strafalcio­ni di sintassi e

come oggi avviene anche sui giornali.

A— Federico Tessore Brescia, da oltre sei mesi TIM ha bloccato la filodiffus­ione dei programmi radiofonic­i della RAI. Però il canone mensile lo addebita sempre in fattura. Interpella­ta più volte non ha mai risposto: forse i suoi funzionari credono di agire ancora in monopolio. Ed è tempo sprecato telefonare per chiariment­i al suo numero verde. La RAI dice che non è sua competenza; evidenteme­nte non gli interessa se i suoi programmi radiofonic­i vengano diffusi in filodiffus­ione, anche se la reclamizza. Gradirei venisse pubblicata la mia protesta.

— Vittorio Maccarini, Brescia

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