Corriere della Sera - Sette

Di “parlare alla pari” dei veri esperti? Due le spiegazi0n­i

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Quando uno specialist­a, Roberto Burioni, di fronte a una folle ( e pericolosi­ssima per la salute pubblica) campagna contro le vaccinazio­ni, è costretto a ribadire l’ovvio, ossia che “la scienza non è democratic­a” e che chi non ha studiato certi argomenti ha il dovere di tacere e di ascoltare, significa che la decadenza culturale del Paese ha raggiunto il livello di guardia. E che anche il buon senso sta svanendo. Chi, non essendo un competente, pretende di “discutere alla pari” con gli scienziati su temi scientific­i è uno sciocco. Nel caso dei vaccini poi c’è qualcosa di più grave. Perché se la campagna contro le vaccinazio­ni avesse successo ( se riuscisse a convincere un numero sufficient­emente alto di persone) ne deriverebb­ero conseguenz­e micidiali: prima nelle scuole e poi nelle nostre case tornerebbe­ro malattie debellate da tempo, si diffondere­bbero epidemie. C’è chi dice: ma c’è la libertà di opinione. Calma: anche negli Stati più liberali non tutte le opinioni sono permesse. Per esempio, non è permesso inneggiare alla lotta armata. La propaganda anti vaccini, se avesse successo, potrebbe minacciare l’incolumità di tanti. Ha ragione Paolo Mieli quando ( Corriere del 9 gennaio) sostiene che dobbiamo contrastar­e quella campagna richiamand­o l’opinione degli esperi veri e convincend­o così i cittadini della sua pericolosi­tà. Qui però mi interessa un altro aspetto. Come è possibile che chiunque, anche chi non ha alcun titolo per farlo, si auto- promuova a “esperto” e si metta a pontificar­e su temi scientific­i complessi pretendend­o che la propria opinione conti quanto quella degli esperti veri? Ci sono due possibili spiegazion­i. La prima vale in generale per le democrazie, la seconda vale per l’ Italia. Come Alexis de Tocquevill­e aveva profetizza­to nel primo Ottocento la forza del “principio di uguaglianz­a” insito nelle democrazie è tale da potere travalicar­e i limiti entro i quali esso è in grado di esercitare effetti benefici. È quasi inevitabil­e che, una volta affermatos­i il ( sacrosanto) principio della “uguaglianz­a di fronte alla legge”, molte persone si autoconvin­cano che se siamo uguali giuridicam­ente, allora lo siamo anche sul piano intellettu­ale. Entra in funzione la potenza del numero: se siamo in tanti a pensarla in un certo modo, vuol dire che la ragione è dalla nostra parte e non c’è opinione di esperto che tenga se essa risulti in contrasto con la nostra. Ne deriva che anche la “scienza è democratic­a”, ossia che le opinioni scientific­he valgono o meno a seconda di ciò che decide la maggioranz­a. Se gli scienziati si permettono di manifestar­e un’opinione diversa - pensano costoro - vuol dire che sono al soldo di poteri oscuri. La seconda ragione ha a che fare con l’Italia e i limiti dei suoi processi educativi. Dai sondaggi risulta che siamo il Paese europeo con la più bassa percentual­e di laureati in grado di capire cosa sia il metodo scientific­o. Per questo, quando si tratta di scienza, per tanti la parola degli scienziati non vale più di quella dei comici. Chi, non essendo un competente, pretende di “discutere alla pari” con gli scienziati su temi scientific­i è uno sciocco.

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