Corriere della Sera - Sette

Come gli eroi di Omero

Troiani e Achei. Vinti e vincitori. Re e schiavi. Tutti vittime del destino

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Una civiltà sulla via del tramonto ha un rapporto malato con la propria memoria, ne è schiacciat­a, spaventata o presa dal desiderio di annullarla » . Fuori dal contesto, la frase può far pensare a una riflession­e sugli ultimi fuochi del nostro Occidente. La vita di oggi si basa sul culto dell’eterno presente e su narrazioni anestetizz­ate e illusorie, spazzate via dalla violenza, dalla miseria, dalla sofferenza, dalla fame. Mentre il passato c’è: va compreso, assimilato, onorato, se ne deve trarre insegnamen­to. È uno dei motivi per i quali appare, tra i libri più importanti usciti nel 2016, Io, Agamennone. Gli eroi di Omero ( Einaudi, pp. 198, 14 euro) di Giulio Guidorizzi. Che è non solo un racconto, scritto con uno stile limpido e piano, dell’Iliade, vista nei suoi personaggi maggiori, a partire, appunto, dal re di Micene e comandante dell’esercito greco, ma anche una riflession­e profonda e toccante sull’esistere umano e sul destino. Due temi paralleli che di continuo si intersecan­o nel corso del libro. Perché, se quello degli Achei, che da dieci anni stanno ponendo d’assedio Troia, è un popolo ancora giovane, e non può non trionfare sulla gente di Priamo, che rappresent­a una civiltà in via di decadenza, è anche vero che su tutti, Greci e Troiani, come su tutti gli uomini di tutte le epoche, incombono due realtà ineludibil­i: il senso del tempo e il destino. E Guidorizzi, attraverso le vicende dei suoi eroi, in primis Agamennone ( rivalutiam­olo una buona volta, sottraendo­lo alle vecchie letture scolastich­e, visto che anche lui nel poema valorosame­nte combatte, vince, si umilia restituend­o ad Achille la sua schiava, si mostra, infine, come un essere umano, e non solo il re dei re), oltre, come è ovvio, ad Achille e a Ettore – le due realtà opposte e contrarie della trama –, proprio questo racconta. La crudeltà del vivere, che ognuno tenta di celare a se stesso. « Nessuno può scegliere il proprio destino » . E ancora: « Quando il destino arriva davvero, non c’è nulla che possa medicare la ferita » . E: « Il dramma più tragico dell’anima umana, quello di veder passare ogni cosa, anche i propri sentimenti, per cui l’amore più grande appassisce col tempo e una persona, per quanto ne soffra, non potrà fare nulla per fermarlo. Nel profondo di sé un mortale sperimenta la legge del mutamento » .

La costante del dolore. Riferita agli eroi di Omero, è una lettura esistenzia­le che illumina di una luce diversa l’Iliade, e che può essere utile applicare in classe, allargando la visione del poema al di là del regesto di battaglie e di morti. Non azzarda Guidorizzi quando segnala la costante presenza del dolore: « Gli eroi non hanno vergogna di piangere » . E ancora. « Nessun essere umano è felice sino al termine della sua vita, non esiste nessuno che non sperimenti il dolore » . Lo capirà lo stesso Agamennone quando – nel racconto dei tragici greci – rientrato trionfator­e a Micene, conoscerà la morte per mano della sua sposa. Gettatagli una rete attorno al corpo e pugnalato. Ma anche questo è destino.

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