1966
È l’anno dello scollinamento. La seconda metà dei Sessanta è totalmente differente dalla prima. La prima metà vive nella scia del boom, del benessere, della dolce vita arrivata finalmente dopo la ricostruzione dei Cinquanta. La prima metà dei Sessanta corre da casello a casello, con “il tigre nel motore”, bruciando litri di benzina super a basso costo. Sono gli anni del raddoppio. Perché, se nei Cinquanta il raddoppio è una possibilità suggerita anche dalla televisione ( Lascia o raddoppia), nei primi Sessanta fiorisce il duplicato. Si raddoppiano le corsie nell’Autostrada del Sole dove si viaggia con la prima e con la seconda automobile comprata a rate. Si tende alla seconda casa per le vacanze con doppi servizi come la prima, con la possibilità del secondo televisore, più piccolo con le antennine incorporate per vedere ( male) il secondo canale della Rai, nato il 4 novembre del 1961. Per mantenere tutto sarà indispensabile un secondo lavoro, nella prospettiva clandestina di una seconda famiglia. Dal 1965 in poi si vira verso un edonismo meno dichiarato, recuperando i valori del pensiero accanto ai valori monetari. Dalla vetta della metà del decennio si guarda al futuro, sognando l’arrivo di un benessere generale, dopo aver provato il benessere materiale del boom. I giovani teorizzano l’era dell’acquario, epoca nella quale mai più guerre, mai più rivalità, ma amore, pace e fratellanza. Da allora, aspettiamo ancora. 1966, 27 aprile, Roma. La rivoluzione dei tempi arriva in chiesa: nell’oratorio dei Padri Filippini si celebra la prima messa beat. Nelle navate delle chiese entrano gli strumenti del mondo giovanile. Tra altari e confessionali si posizionano capelloni, con chitarre elettriche, batterie e microfoni, né più né meno come si vedeva al Piper di Roma. Con qualche differenza nei contenuti. In chiesa i Barritas suonano Gloria al Signore, mentre al Piper sale sul palco Patty Pravo. Nelle chiese fuma l’incenso, mentre nei locali si fuma di tutto. Fatte salve queste ed altre divergenze, la messa beat rappresenta bene sia il 1966 sia le fughe in avanti della seconda metà dei Sessanta con il desiderio insopprimibile di aprirsi ai giovani, al rinnovamento, al cambiamento. “Vedrai, vedrai, / vedrai che cambierà, / forse non sarà domani, / ma un bel giorno cambierà”. È il sentire di Luigi Tenco espresso con parole sue in Vedrai, vedrai nel 1965. Tenco ha ventisette anni e riassume malinconicamente le aspettative del mondo giovanile Luigi Tenco, Un giorno dopo l’altro
oggi madeleine proustiana delle serate domenicali passate in compagnia di Gino Cervi/ Maigret e delle sue indagini. “Un giorno dopo l’altro / il tempo se ne va / le strade sempre uguali, / le stesse case. / Un giorno dopo l’altro / e tutto come prima / un passo dopo l’altro, / la stessa vita”. Certo non è stata scritta per dare allegria, ma oggi, riascoltandola, oltre a ripercorrere l’esistenzialismo di Luigi rivediamo in bianco e nero Gino Cervi/ Maigret e Andreina Pagnani/ Louise Maigret. Quando i due si sedevano a tavola, lui quasi stupiva di esser riuscito a risolvere il caso di omicidio più intricato del secolo. Quasi stupiva, perché la soluzione era caduta nel piatto, come la coscia del galletto servito dalla signora Maigret. E allora, con la bocca piena, Cervi assaporava in minima parte il gusto di aver trovato l’assassino e in massima parte il sapore della prunella d’Alsazia, utilizzata al posto dell’Armagnac per insaporire il galletto. E, da casa, a tutti veniva l’acquolina in bocca, guardando quei due signori eleganti e raffinati, seduti a tavola. Il profumo della prunella d’Alsazia ( sconosciuto) passava al di qua del teleschermo e inondava il salotto, dopo cena. E veniva la voglia matta di andare in cucina, aprire il frigorifero e mangiare qualsiasi cosa ( anche un pezzo di pane raffermo) immaginando di partecipare a quella cena ordinata al mattino da Jules François Amédée Maigret, commissario bongustaio. “Un giorno dopo l’altro / la vita se ne va / e la speranza ormai è un’abitudine”.