Stefano Mauri: «Con il torneo letterario che abbiamo organizzato su internet, i nuovi scrittori hanno imparato a fare autocritica» »
Il presidente del terzo gruppo italiano tra i ricordi di quando ha iniziato e le sfide di oggi: «Le email hanno cambiato il mio mestiere e aperto il mercato a tutti gli editori. Ma i libri di carta sono vivi come e più di prima»
Leggere un libro dall’inizio alla fine? Mi accade molto meno di quello che vorrei: diciamo che leggo molti inizi... Di recente mi è piaciuto molto Eccomi, di Jonathan Safran Foer: un romanzo sulla distanza che fa leggere il presente meglio di tanti saggi: tra noi occidentali viziati dalla pace e altre zone del pianeta, tra noi e le nostre radici, tra noi e le altre generazioni, tra noi e l’altro sesso, tra noi e chi ci circonda, e infine tra noi e noi stessi » . Sono lontani i tempi in cui Stefano Mauri si è scoperto un « lettore adulto » : « Quando al ginnasio mi bevevo Tonio Kröger di Thomas Mann e i racconti di Franz Kafka » . Ora, per il presidente e amministratore delegato – con Luigi Spagnol – di Gems, terzo gruppo editoriale italiano che riunisce 18 case editrici, ( tra cui Longanesi, Garzanti, Guanda, Chiarelettere, Salani, Bollati Boringhieri...) e pubblica 12 milioni di copie l’anno ( 10,5 di carta e 1,5 e- book) per 140 milioni di euro di fatturato (+ 7% nel 2016), i “libri” si chiamano piuttosto “manoscritti” e sono i volumi ancora da pubblicare tra cui individuare il nuovo successo. Quest’anno, con la “targa” Gems spiccano Harry Potter 8, il libro sulle diete di Walter Longo e il “magico potere del riordino” Marie Kondo: « Una che viene dal Giappone e fin da piccola ha solo un problema: come faccio a mettere in ordine meglio? » , scherza. E poi Lucia Berlin, scomparsa nel 2004, con La donna che scriveva racconti: « È piaciuta alle scrittrici » , spiega, « Parrella, Bonvicini, Stancanelli hanno fatto una staffetta per promuovere la sua opera » . Che il suo destino fosse questo era segnato, tra il padre Luciano, leggendario padrone delle Messaggerie, che fondò con Mario Spagnol il primo gruppo editoriale indipendente, e lo zio Valentino Bompiani. « In realtà, nella mia generazione non si faceva il lavoro dei genitori. E io ho cercato di resistere... Mi volevo laureare con una tesi sulla storia demografica di Milano, ma quando andai a consegnare il primo capitolo, il professore mi disse: non è che ha voglia di occuparsi di editoria? Aveva ricevuto un incarico per uno studio sul consumo culturale italiano. Commissionato da mio padre per la Scuola per Librai... Poi, tornato dal master in editoria in America, ho fatto tre colloqui con altre case editrici. Mi risposero tutte: la prenderemmo subitoma lei appartiene alla famiglia concorrente... Cominciai nel marketing Longanesi, la più piccola società del gruppo di famiglia, povera ma prestigiosa, diretta da un grande maestro » . Sono passati 30 anni. Longanesi è la bandiera del gruppo, e a dare ulteriore misura di quanto le cose siano cambiate c’è, tra l’altro, IoScrittore, il torneo letterario che Gems organizza – l’ 8 febbraio si chiudono le iscrizioni – per trovare talenti con l’“aiuto” del web. « Ogni anno investiamo molto sulla ricerca di nuove voci. L’idea del torneo è nata tra il 2008 e il 2010 quando l’editoria tutta, come altri sistemi di mediazione, è stata messa in discussione dalla Rete. C’era un ansito democratico che non trovava risposta da parte degli editori, per una ragione naturale: noi abbiamo un compito meritocratico e non democratico » . Dovete selezionare. « Far emergere le voci più originali, autorevoli, emozionanti. Ma siamo nell’era in cui uno vale uno e il parere di tutti conta. Io scrittore, che ora è quasi una “clinic” per aspiranti scrittori, si è posto come portale d’incontro fra due mondi che non s’incontravano mai. Anche per quegli scrittori rassegnati al fatto che nessun editore darà mai loro ascolto perché scottati dal sottobosco di aziende, alcune truffaldine, che rispondono entusiasticamente a qualsiasi manoscritto salvo poi spiegare che bisogna pagare per essere pubblicati . » .
Così avete creato questa contesa in cui sono gli stessi concorrenti – nell’anonimato – a leggere e giudicare i lavori degli altri fino alla selezione dei vincitori.
« Si crea un database di 1.500- 2.000 lavori all’anno: ogni testo che arriva in fondo riceve 12- 15 giudizi. Che poi servono anche a orientare le redazioni nel selezionare nuovi manoscritti che possano interessare. Il sistema ha dimostrato di funzionare. In più, stimola un’autocritica costruttiva: chi partecipa anno dopo anno, magari anche con lo stesso manoscritto, spesso lo migliora in base ai giudizi che riceve e tende a salire anche di 200 posizioni da un’edizione all’altra. Ci sono stati anche casi di scrittori già pubblicati con altri editori che, come abbiamo saputo dopo, hanno infilato nel torneo un nuovo libro per vedere come finirlo prima di consegnarlo » .
Quale autore l’ha colpita di più?
« Valentina D’Urbano non avrebbe mai osato mandare i suoi scritti a una casa editrice perché è vissuta in un quartiere emarginato di Roma e ha sempre creduto che le case editrici pubblicassero solo i raccomandati: ha avuto accesso alla Longanesi proprio grazie a questo torneo e ormai è già alla sua quarta prova letteraria, ed è stata pubblicata anche all’estero. Anche per Ignazio Tarantino, che Giovanni Pacchiano ha accostato ai grandi della letteratura del ’ 900 come Gadda, è stato quasi un coming out scrivere sulla propria esperienza di vita » .
Internet, insomma, dice la sua anche sulla scrittura. In che altro modo ha inciso sul mondo dei libri?
« Con le email. L’idea c’era già nella mia tesi di laurea, anno 1985: la “commutazione a pacchetto”, scrivevo, che è il modo in cui veniva chiamata la tecnologia che c’è oggi dietro il web, “rende la comunicazione in-
«Come quelli della mia generazione ho cercato di evitare il lavoro dei genitori. Ma fin dalla tesi tutto mi ha spinto lì»
differente alle distanze geografiche”. All’esame di geografia potevo scegliere il quinto libro: portai telematica. Il docente mi disse: ma che c’entra? Gli risposi: altroché se c’entra, oggi spendiamo per chiamare l’America 20 mila lire al minuto ( circa 10 euro, ndr), ma se il costo della comunicazione sarà insensibile alla distanza, cambierà tutto. Nel ’ 97, Tiziano Terzani – una di quelle grandi personalità, come Claudio Magris, che ho avuto modo di conoscere bene con questo lavoro – scriveva a Mario Spagnol: “Dovresti usare anche tu la posta elettronica”, suggeriva, sapendo che era ligure, “ti farebbe risparmiare un sacco di soldi”. In realtà, le email hanno cambiato profondamente lo stesso processo di scouting e di compravendita dei diritti, e non nel senso di dare ai grandi gruppi ogni potere, al contrario… » .
In che senso, allora?
« Quando non c’erano le email, un agente che doveva vendere un nuovo promettente autore a un editore italiano doveva fotocopiare il manoscritto e mandarlo per posta. Di libri come Il ragazzo giusto di Vikram Seth, per dire, faceva tre copie e le mandava alle prime case editrici. Se poi queste non lo prendevano, se le faceva restituire e le mandava ad altre tre. Nel mondo “digitale”, ovviamente, le si manda contemporaneamente a molti editori. Questo ha aperto l’accesso degli editori indipendenti, che non leggono i manoscritti in terza o quarta battuta ma con i grandi. Quelli bravi hanno avuto occasioni di aggiudicarsi ottimi autori » .
Quale autore le è dispiaciuto “perdere”?
« Stieg Larsson. Alla Fiera di Francoforte avevamo fatto un’offerta per il primo libro, poi Marsilio la fece per l’intera trilogia: aveva un editor interno che leggeva in svedese, noi avevamo un freelance e non ci siamo fidati abbastanza » .
E chi le ha dato più soddisfazione?
« Tutti sanno che ho scelto io Donato Car- risi. Oltre ad avvincere, scrive bene: La ragazza nella nebbia sarebbe, senza la parte thriller, un Falò delle Vanità di Tom Wolfe all’italiana. Mi viene in mente poi la soddisfazione con cui Spagnol ringraziava lo stesso Terzani per il manoscritto di Un indovino mi disse: “È proprio il libro che ti chiedevo da cinque anni”; l’aveva persuaso che la sua scrittura era più intensa di quella di un giornalista di guerra e che avrebbe dovuto cimentarsi in una prova letteraria vera. Nel mio caso, a fare il salto nella narrativa è stato un altro giornalista, Massimo Gramellini: quando è uscito il libro Fai bei sogni ero a una cena con lui e Fazio e la redazione di Che tempo che fa e scommisi che avrebbe venduto un milione di copie. Ho vinto io » .
Che cosa glielo faceva dire?
« Noi siamo stati piccoli. Quando sono entrato nel gruppo Longanesi, ero il 13° arrivato, adesso siamo 160 persone. Abbiamo acquisito il modus operandi di un medio editore e abbiamo sempre cercato di mantenere quel modo di lavorare. Alla macchina del caffè si capisce già cosa ci si può aspettare da un libro. Ci si parla. C’è comunicazione interna, passione e sincero entusiasmo. Poi Mario Spagnol diceva che non bisogna mai dimenticare la fortuna. Ma vedo tanti editori che, siccome “conta il fiuto”, trascurano l’efficienza. Harry Potter è stato acquisito perché la nostra scout inglese è stata più veloce, ha chiesto un’opzione per una settimana, la nostra casa editrice Salani è stata altrettanto brava a scegliere di comprarla anche se era avulso dalla linea editoriale. Il fiuto a volte significa mettere in discussione tutto ciò che si credeva di fronte a un libro che sa ancora sorprenderci » . A proposito di digitale, però, il tema del tradizionale seminario alla vostra Scuola per Librai di questi giorni, alla Fondazione Cini, è: “Dal virtuale al reale”. Una inversione di tendenza. Qualcosa sta cam- biando, per le librerie italiane? « Come gli editori, hanno sofferto della crisi fra il 2011 e il 2015. A quella dei consumi si è aggiunta un po’ di erosione del mercato da parte di ebook e ecommerce. Ma la mia sensazione è che, in questo momento, siano in difficoltà le grosse librerie perché rispondono a una domanda di assortimento che l’ecommerce soddisfa meglio: le prime hanno 50- 80 mila titoli, quest’ultimo 500 mila. Perciò ampliano l’esperienza fisica con la ristorazione o altro. Crescono invece, soprattutto nel Nord Italia, le librerie di quartiere: rispondono all’esigenza opposta, proprio perché ci sono 500 mila titoli, i lettori chiedono che qualcuno indichi loro quelli più interessanti. Comunque, dalla seconda metà del 2015 non si può parlare più di flessione nel mercato del libro fisico, semmai di lieve crescita. Anche in Usa e Gran Bretagna. Nel 2016 ci sono poi stati alcuni fenomeni di crescita non dal lato del bestseller ma della “coda lunga”: cioè degli altri 495 mila titoli. È anche l’effetto di ecommerce e pluralità informativa di internet » .
Allora la carta è ancora viva.
« La verità è che c’è stata una propaganda interessata da parte delle grandi società di ecommerce e digitali che hanno voluto far credere che la carta avesse i giorni contati. È iniziata nel 2000 con Microsoft, secondo cui nel 2010 non avremmo trovato libri nelle nostre città, e poi – naturalmente – la stessa campagna fatta da Amazon dal 2007 è stata 10 volte più potente. Credevano davvero che la gente avrebbe preferito l’ebook? No: volevano semplicemente spingere i consumatori nel proprio recinto. In America, Amazon aveva l’ 85% del mercato digitale e il 25% di quello cartaceo. Far credere che il passaggio al Kindle fosse inesorabile voleva dire spingere i lettori verso quello strumento » .
Cioè?
« Finché hanno potuto, hanno venduto l’ebook a prezzi stracciati, che non garantivano la sostenibilità dell’editoria digitale. Ora che l’ebook costa circa il 30% in meno della carta, la misura giusta per remunerare autore ed editore, e non il 50 o l’ 80%, il loro mercato si è assestato intorno al 25%. In Italia si è fermato quasi troppo presto, al 5% del mercato ( per noi è al 7). Di fatto ai lettori è sempre piaciuto pagare di più ma avere il libro di carta » .